Prima pagina dell’edizione on line di Forbes del 15 aprile scorso: Come formare degli innovatori, perché il sistema scolastico americano ha fallito. Siamo abituati a pensare che nessun vivaio del talento sia più fecondo dei college a stelle e strisce. In realtà la notizia c’è, perché l’autore del libro di cui parla Forbes è Tony Wagner, Fellow ad Harvard in Education Innovation.

di Elisabetta Corrà

Wagner sostiene che apprendere in modo nozionistico non giovi al talento e sia un metodo ormai inadeguato per comprendere la complessità del mondo contemporaneo. Nel terzo millennio non ci sono più compartimenti stagni, i problemi che dobbiamo affrontare – il cambiamento climatico, la crisi della biodiversità, la questione energetica, l’accesso al benessere del ceto medio africano e asiatico – non possono essere compresi attraverso il modello di studio dominante che separa la scienza dalla filosofia. Secondo Wagner, ci troviamo in transizione da una economia guidata dalla logica del consumo ad una economia governata dall’innovazione. E questa innovazione nasce sui banchi di scuola: “imparare ad essere un innovatore significa imparare a superare i confini tra discipline, esplorando i problemi e le loro soluzioni da una prospettiva multipla”.

Il riscaldamento del Pianeta è forse l’esempio migliore su cui applicare questo punto di vista che non esclude più le discipline del pensiero puro dal dibattito sul futuro. La crisi climatica è infatti una crisi sistemica, che chiama in causa le nostre abitudini alimentari, il tessuto industriale, l’economia del divertimento. I Paesi occidentali importano emissioni serra attraverso i beni di consumo. E’ stato calcolato (Davis e Caldeira, PNAS 2009) che ogni europeo importa 4 tonnellate di CO2/anno. Nel 2011 Carbon Trust, una organizzazione no profit inglese, ha condotto uno studio indipendente che quantifica gli scambi nazionali dei flussi di materia ed energia corrispondenti a emissioni serra trasferite all’estero: un netto 25% delle emissioni complessive di CO2 proviene dall’import export di merci.

Viviamo in modo non sostenibile, ma il nostro stile di vita ha radici profonde nella creatività della nostra specie e quindi la crisi climatica è anche un momento topico nella nostra storia evolutiva: come porre dei limiti alla nostra indole faustiana? I Paesi più poveri del mondo stanno già pagando le conseguenze dei cambiamenti climatici e del consumismo occidentale. Una eco-etica non è solo auspicabile, è doverosa: ma a che prezzo?

Sono temi da tempo discussi nei college americani. A Stantford 14 studenti hanno fondato Generation Anthropocene, una serie di podcast in cui esperti di ogni disciplina discutono sulle conseguenze irreversibili dell’impatto delle attività di homo sapiens, cambiamento climatico compreso. Generation Anthropocene è un esperimento di “comunicazione scientifica interdisciplinare”, in cui hanno detto la loro geologi, ingegneri, ecologisti, filosofi, oceanografi, storici, biologi della conservazione. 

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