Criminalità organizzata e terrorismo di matrice eversiva: sono queste le piste seguite dagli inquirenti per far luce sull’attentato di stamattina alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi. Due ipotesi (ma non si esclude l’azione di uno squilibrato) e una gerarchia, precisa ma non definitiva: per chi indaga la pista mafiosa non sarebbe quella preminente. Almeno per ora. La teoria è basata su alcune considerazioni e sulla statistica dell’attività della mala locale, che mai prima d’ora aveva agito con queste modalità e con questa violenza gratuita. Proprio per questo motivo, gli inquirenti non escludono l’ipotesi di un atto terroristico di matrice eversiva, magari da collegare ai rapporti tra i gruppi anarchici greci e quelli salentini. Terrorismo internazionale, insomma. Una pista che tuttavia è stata bocciata dal procuratore capo di Lecce e numero uno della Dda salentina Cataldo Motta, secondo cui “non è accreditabile sulla base di elementi oggettivi”.

Resterebbe la mala, quindi. Altra pista decisamente ‘calda’, infatti, è quella che prende in considerazione l’affermarsi di gruppi criminali locali sempre più violenti. L’analisi degli inquirenti parte dall’esame dell’attuale situazione della criminalità pugliese, tra residui della ‘storica’ Sacra Corona Unita e l’emergere sempre più prepotente di gruppi decisi a conquistare la supremazia e il controllo del territorio in tutta l’area salentina. A qualsiasi costo, con una predisposizione alla violenza che colpisce gli apparati di prevenzione. In questo senso, il tragico salto di qualità compiuto con l’attentato di questa mattina si può inquadrare in uno scenario di contrapposizione sempre più cruenta tra sodalizi emergenti, spesso composti da capiclan giovanissimi quando non proprio formati da vere e proprie ‘baby gang’ senza scrupoli.

Resta da capire se il livello criminale di questi gruppi si sia spinto al punto da ideare e mettere in atto un gesto eclatante come un attentato all’ingresso di una scuola. Si ragiona sull’ora dell’esplosione, le 7.50, e non si esclude l’eventualità di un malfunzionamento del timer che potrebbe aver fatto deflagrare l’ordigno in un’ora diversa da quella programmata. A meno di non voler considerare un’effettivo e intenzionale proposito stragista alla radice del gesto. 

Oltre a questo, è stato naturale il collegamento con quanto avvenuto ultimamente in provincia di Brindisi. Due precedenti: una bomba e 16 arresti di mala nell’arco di pochi giorni. Tutto a Mesagne, la ‘patria’ di Pino Rogoli, fondatore della Sacra Corona Unita detenuto in regime di 416 bis nonché centro nevralgico di tutta la mala salentina. E proprio a quanto accaduto recentemente nella cittadina messapica, secondo le prime indiscrezioni investigative, potrebbe essere collegato l’attentato di oggi a Brindisi. Nelle ultime settimane, del resto, a Mesagne si era registrata una recrudescenza di criminalità organizzata. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio, in particolare, la Mercedes di Fabio Marini, presidente della locale Associazione antiracket e imprenditore attivo nel settore dei servizi dello spettacolo, era andata completamente distrutta in un attentato. L’episodio, ultimo di una serie di intimidazioni, aveva spinto una delegazione di parlamentari e degli enti locali a chiedere e ottenere un incontro con il ministro Cancellieri, svoltosi il pomeriggio dell’8 al Viminale. Il 9 maggio, invece, in un maxi blitz della polizia – sempre a Mesagne – c’erano stati 16 arresti con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento aggravato e incendio aggravato.

Secondo gli inquirenti, che hanno chiamato l’operazione ‘Die Hard’, le indagini hanno consentito di delineare i nuovi assetti della criminalità organizzata e stabilire chi sono i nuovi capi sul territorio. Fondamentale, in tal senso, la collaborazione del pentito Ercole Penna, che avrebbe fatto emergere e ricostruito la responsabilità di vari esponenti dei clan mafiosi nelle azioni delittuose.

Proprio per questo motivo, secondo chi indaga dietro l’attentato all’istituto Morvillo-Falcone potrebbe celarsi un ‘messagio’ della Sacra Corona Unita. L’ipotesi investigativa prende sempre più corpo a poco più di tre ore dall’esplosione. Negli ambienti investigativi si fa notare che la SCU è un’organizzazione che ha una grande disponibilità di armi ed esplosivo grazie ai collegamenti con la criminalità organizzata dei Paesi dei balcani. Proprio da qui, dall’Albania, del resto, proverrebbero i 47 chilogrammi di esplosivo rinvenuti per caso la mattina del 17 marzo da un pescatore sulla spiaggia di Torre Rinalda, vicino Squinzano, al confine tra le province di Brindisi e Lecce. Quasi cinquanta chili di tritolo suddivisi in 235 panetti da 200 grammi l’uno, sistemati all’interno in due buste lasciate sull’arenile parzialmente nascoste sotto una duna: a cosa serviva una tale potenza di fuoco? Altro particolare da non sottovalutare: da qualche mese a San Pancrazio Salentino, centro a una manciata di chilometri da Mesagne, vive Maria Concetta Riina, 36 anni, figlia del capo dei capi di Cosa Nostra: a marzo la donna ha lasciato Corleone e si è trasferita nel Brindisino insieme al marito (Tony Ciavarello, personaggio già noto alle forze dell’ordine) e ai suoi tre figli.   

L’attentato di oggi, sottolineano fonti investigative, potrebbe rappresentare una sorta di ‘strategia della tensione’ come quella attuata dalla mafia, tra il 27 e 28 luglio 1993, fuori il territorio siciliano: strage dei Georgofili a Firenze (5 morti); strage in via Palestro a Milano (5 morti) e, infine, le bombe a Roma a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio in Velabro (che non provocarono vittime).

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