Un salto indietro di cento anni. E’ il pericolo che corre oggi il lavoratore italiano nel vivere l’attuale crisi. Come ai tempi della Grande depressione, dove in soli quattro anni, il tasso di suicidi a causa della caduta delle borse portò un più 22 %, ai giorni nostri si registra un’impennata di gesti estremi tra quanti, eroicamente, ogni giorno tentano di sopravvivere alle sopraffazioni del debito. L’attuale schema capitalistico dominante, ha generato un sistema fondato sul debito, dove più spendi, più produci, più facilità di accesso al credito puoi avere. Almeno finchè non intervengono periodi di recessione, dove il credit crunch ribalta il paradigma, stringendo i cordoni dei finanziamenti. E’ lì che il sistema capitalistico mostra il suo volto più spietato, quello che espelle dal sistema chi non è più in grado di sostenerlo.

I dati per i suicidi per motivi economici sono aumentati del 24,6% (lo dice un recente studio), mentre i tentativi di suicidio, sempre legati alle difficoltà economiche, sono cresciuti del 20%. Gli fa eco uno studio che arriva da oltre Oceano e che ha messo in luce la più forte associazione del rischio di suicidio proprio nelle persone in età lavorativa, ovvero dai 25 ai 64 anni. Dal gennaio di quest’anno sono 32 i suicidi: nella maggior parte dei casi si tratta di imprenditori, ma anche artigiani, professionisti, operai licenziati, pensionati, padri di famiglia che non resistono alla “vergogna” di non riuscire a farcela, di dover chiudere l’impresa, mettendo su strada altri padri di famiglia. Nella maggior parte dei casi non lo si fa per motivi di debito, ma di credito: è lo Stato a non pagare i suoi debiti e ciò porta sfiducia poiché tanto chiede ma che poco è disposto a concedere.

Per lo Stato i tempi dei pagamenti sono infiniti; per le banche e per Equitalia invece no.

Da qui, anche il rischio che queste persone in preda alla disperazione generata da una matematica ingrata possano rivolgersi alle persone sbagliate, foraggiando la malavita, ben vogliosa di accaparrarsi le imprese in difficoltà. L’imprenditore sul baratro ha tutto l’interesse a rivolgersi verso chi mostra disponibilità al credito anche se questo poi necessariamente, come legge del contrappasso, porta gli stessi a dover cedere a prezzi stracciati, o peggio ancora, senza alcun vantaggio economico, le stesse imprese alla criminalità che ne fa centrali di riciclaggio.

Per contenere tali fragilità lo Stato deve muoversi con tempestività con interventi di carattere preventivo, attraverso, ad esempio, l’istituzione di fondi di solidarietà per coloro che versano nelle condizioni di cui sopra.

Un tempo si diceva che il peggiore dei mali fosse morire sul lavoro. A questi si aggiunge oggi il pericolo di morire di lavoro. Le uniche soluzioni che una Repubblica “fondata sul lavoro” può fornire ai suoi figli, ossia i lavoratori, è rappresentata dall’istituzione di fondi agevolati, da un più elastico accesso al credito in situazioni di forti difficoltà economiche e imposizioni alle banche – ed equitalia – per la rinegoziazione del debito. Altrimenti, a finanziare i lavoratori e le imprese in difficoltà continuerà ad occuparsene la mafia!

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