Fino a pochi giorni fa, per buona parte della stampa italiana Beppe Grillo era fascista, demagogo e il Movimento Cinque Stelle formato da migliaia di seguaci populisti pronti solo a condannare gli sprechi e a inneggiare all’antipolitica. Poi è arrivato il successo delle amministrative e anche i detrattori hanno cambiato marcia pubblicando articoli sui rispettivi punti di forza fino a spingersi alle analogie del successo tra il comico e Berlusconi.

In un’intervista a La Stampa, il fondatore di Slow Food Carlo Petrini dichiara che “l’antipolitica non esiste, tutto è politica. Solo che l’Italia è davvero strana. Improvvisamente tutti hanno scoperto i grillini, che non sono brutti e cattivi e parlano di cose importanti: energia, cibo, ambiente, salute”. Lo conferma anche Massimo Gramellini che dalle stesse colonne spiega l’8 maggio: “Conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica. Disprezzano i partiti”. Lo sdoganamento avviene anche sul Corriere della Sera per voce del sociologo Carlo Carboni secondo cui “la cosiddetta antipolitica o politica antagonista” fa parte del “gioco istituzionale”. E spiega che “prima o poi il Movimento Cinque Stelle verrà istituzionalizzato, se c’è un contenuto positivo”. Lo stesso giorno Alessandro Trocino regala un affresco sui Cinque Stelle “verdi e tecnologici” che magari “non fanno ridere, ma funzionano”. Sono “ingegneri e informatici” che “usano toni pacati” e “Beppe come megafono”. Il risultato?: “I partiti si ritrovano sgomenti a fare l’elenco di illustri sconosciuti”. Che, però, hanno vinto. Massimo Franco, poi, redarguisce i partiti e li invita a “non cercare alibi” perché il “trionfo dei grillini” oltre i confini della sinistra “rispecchia confusamente, a volte con parole d’ordine irresponsabili, la voglia di spazzare via un sistema incapace di riformarsi“.

Ma è su Libero e Il Giornale che lo spartiacque delle amministrative segna il cambio di marcia più evidente nei confronti del Movimento. Passando anche da un parallelismo tra Grillo e Berlusconi. Sul giornale di Belpietro, Renato Besana il 9 maggio elenca tutte le somiglianze tra i due nel pezzo dal titolo “Beppe imita il Cav.”. Entrambi “uomini di comunicazione, la cui popolarità si è affermata grazie alla tivù, benché in ruoli diversi”. E se lo stesso quotidiano il 21 ottobre 2011 titolava “Lunga vita a lui (Grillo, ndr), il 95% dei voti sottratti alla sinistra” oggi al contrario spiega che “anche il bacino elettorale coincide in larga parte: il Movimento Cinque Stelle, quando si rivolgeva soprattutto alla sinistra spettinata e insofferente, racimolava percentuali modeste. Il balzo in avanti è dovuto all’apporto dei delusi da Pdl e Lega”. In sostanza, “altro che antipolitica: è politica vera questa, che esprime la ribellione civile contro un sistema inefficiente e autoreferenziale, che pensa soltanto agli affaracci propri e al modo migliore di conservarsi la poltrona”. Ancor più chiara l’analisi del direttore dopo a urne chiuse secondo cui “liquidare il fenomeno come se fosse rivolto solo nei confronti di questo o quel partito sarebbe sbagliato, perché siamo di fronte a qualcosa di più complesso , che riguarda l’Italia, ma non solo”.

Due pagine dopo, Filippo Facci firma un pezzo dal titolo “Il grillino che è in me”, in cui descrive i candidati del movimento “presentabili, studenti o professionisti, sembrano brave persone”. E che Grillo, che pare l’unico rimasto “a difenderci dai tecnocrati europeisti”, almeno “i soldi pubblici non li ha mai presi, non ha figli nè famiglie in politica, non ha candidati inquisiti o scilipoti”. Il giornalista aggiunge anche di essere disposto a fare “una domenica a piedi” perché si è “accorto che stiamo consumando il pianeta”. Eppure è lo stesso cronista che definiva il blogger “un personaggio assolutamente reazionario e di destra” e diceva di avere “il massimo disprezzo per la maggioranza di quelli che io ritengo essere i grillini, i grillanti o quel che volete” senza tralasciare che la maggior parte di chi occupava il suo blog era “una parte di internettiani sottoacculturati”. Segue un articolo di Matteo Mion, in cui lo stesso Libero si autodefinisce “uno dei pochi media a scrivere che Grillo avrebbe sottratto consenso alla Lega” e, alla luce della premessa, constata che “il Nord scende dal Carroccio e sale sul carrozzone del comico”. E se Napolitano dice di non aver visto nessun boom del movimento, Martino Cervo commenta che “il Colle insulta 200mila italiani”.

Anche Nicola Porro analizza “analogie di un successo” tra il blogger e Berlusconi nel pezzo “La rete di Beppe e la tv del Cav”. Porro gli riconosce di avere “utilizzato la Rete in modo sapiente”, mezzo che peraltro “è anche un gigantesco pozzo di liquami” che, “sia chiaro” non è il “mezzo che fa vincere le elezioni”, ma “è un preciso termometro di una certa opinione pubblica che deve essere intercettata”. Sottolinea che i simpatizzanti del movimento “non hanno Turati e De Gasperi, non hanno Marx o Friedman”, ma vivono sul piano della Rete, anche se poco fa li definivano “l’anticasta che fa comizi anni ’50”. “Guai a prendere sottogamba questo fenomeno – avvisa Porro – sono tanti, sono svegli e hanno voglia di cambiare”. Insomma, “sono nativi della Rete, ma non per questo poco impegnati”. Sotto il suo articolo, l’intevista del senatore Pdl e coordinatore dell Lombardia Mario Mantovano che trova punti di contatto con “i grillini”. “Anzi – dice – potremmo andare insieme ai ballottaggi”. Quindi propone a un’alleanza? Perché no, spiega, “eravamo con un partito che chiedeva la secessione. Ricorda?”

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