Io sono soltanto un giornalista. Anzi io sono soltanto un mestierante. Un mestierante, così amava definirsi Montanelli, un mestierante che ha esercitato così a lungo, qualcosa avrà capito di questa professione.

Indro metteva al primo posto la fiducia dei lettori, senza la fiducia di chi ti legge non conti nulla, sei uno dei tanti. La fiducia la conquisti affermando la verità, amava ripeterlo sempre. La fiducia la conquisti anche scrivendo cose che alcuni non vorrebbero leggere. Parole scomode, ruvide, secche, parole sagge, mai leziose, parole che non hanno mai voluto essere scuola di filosofia, ma che inducevano i suoi lettori a ragionamenti semplici ed efficaci.

Montanelli è stato un pezzo importante del giornalismo italiano. Per lui era importante anche riconoscere gli errori. Diceva: “chi riferisce di un fatto mentre accade può cadere in qualche inesattezza, l’importante è che, quando te ne accorgi devi riconoscerlo pubblicamente e chiedere scusa ai propri lettori”.

Sembra un giornalismo d’altri tempi quello di Montanelli, paragonato a quello di adesso. Sono pochi i nomi che oggi possono primeggiare con la penna di Indro. Pochi perché un sistema di informazione sempre più legato a interessi di parte, limita la libertà di scrivere a penna sciolta. Un mondo, quello dell’informazione attuale a cui è saltato il riferimento di base dettato da Montanelli, la fiducia del lettore. Molte firme sono più preoccupate di conquistare la fiducia degli editori, piuttosto che quella di compera il giornale o naviga in rete.

Diceva: “Se non hai il sacro fuoco dentro, se non sei portato per fare questo mestiere, se non ha un’appendice naturale con la macchina da scrivere, è inutile fare questo mestiere”, parole pronunciate con ironia. Come ironico è il suo necrologio dettato da lui stesso, “Indro Montanelli prende congedo dai suoi lettori” con questa frase Montanelli rendeva l’ultimo omaggio al lettore di giornale.

Ha intervistato Churchill e De Gaulle, ha incontrato Hitler sul campo di battaglia, ha conosciuto Mussolini. È stato condannato a morte dai tedeschi durante la guerra, gli spagnoli l’hanno nominato principe delle Asturie e i finlandesi Leone di Finlandia. Proprio un bel personaggio Indro. Un personaggio, che non abbandonava mai la sua “Lettera 22”, la macchina da scrivere con cui inchiostrava di parole i fogli bianchi di carta. Rifiutando fino all’ultimo qualsiasi moderno computer. Forse perché il ticchettio delle barrette di piombo delle lettere, che cozzavano sul rullo di gomma, per lui erano suoni ritmati che si trasformavano in parole scritte, suoni che nessun computer poteva ripetere.

Molti credevano Montanelli un assiduo frequentatore della classe dirigente italiana, cosa che lui ha sempre rifiutato, affermando sempre che lui, la classe dirigente, la guardava da lontano.

Dopo aver scritto per trent’anni per il Corriere della Sera, e nell’età in cui molti suoi colleghi guardano alla pensione, ne esce e fonda il Giornale Nuovo. Questo fa capire la carica che aveva per professare questo mestiere. Di lui ci rimangono i suoi articoli, i sui libri, andava fiero della storia d’Italia, una sua pubblicazione che ha avvicinato molti lettori alle vicende storiche della nostra nazione. Ci rimangano di lui spezzoni di filmati, cortometraggi e interviste video che fanno risaltare un Montanelli che usava il teleschermo allo stesso modo della sua “Lettera 22” ovvero cercando la fiducia dei suoi lettori.

Analizzava i fatti, li sezionava e li raccontava in maniera diretta. Li raccontava scrivendo in modo semplice, limpido e scorrevole dando ritmo alle frasi. Sembra semplice in realtà non lo è, per farlo devi avere, come diceva lui, il sacro fuoco dentro, altrimenti è inutile fare questo mestiere.

Il suo rapporto con la fede? lo si capisce da una sua citazione in cui disse, “Quando sarò al cospetto di Dio, lui mi chiederà: Indro, perché in vita non hai avuto fede?. Ma io gli risponderò: no, perché tu non mi hai mai fatto dono della fede?

Eligio Scatolini