L’acme politico del Concertone 2012 è stata l’intervista ai tre leader dei sindacati. In via fattuale, ma forse a questo punto teorica, patrocinanti dell’evento. L’audio, nella gremita Piazza San Giovanni, non funzionava. Sembravano pesci dentro un acquario senza articoli 18. Nessuno, però, si è lamentato. Anzi.

La folla ha apprezzato quel silenzio, e non soltanto perché era e resta l’unico modo per condividere Bonanni. In quel palese disimpegno risiede lo scarto – in avanti, all’indietro, di lato? – rispetto al passato. Finora il Concertone era prima pistolotto e poi musica. La versione chilometrica di Ti amo di Elio e le Storie Tese, censurata dalla Rai. I comizi di Piero Pelù, che metteva il profilattico al microfono di Vincenzo Mollica. Il combat folk dei Modena City Ramblers, l’era delle posse. La t-shirt di Daniele Silvestri con la faccia di Berlusconi mentre scandiva Il mio nemico. Gli attacchi al Vaticano di Andrea Rivera. Al Primo Maggio il cantante si faceva pienamente Masaniello e tribuno.

Adesso non più. Forse perché quel ruolo lo ricopre già Beppe Grillo. O forse perché in tempi di crisi anche i giovani precari chiedono il panem, sì, ma pure i circenses. Le bandiere rosse, i sindacati: sembrava tutto archeologico. Se Bersani sapesse accorgersi in diretta di ciò che accade, direbbe forse che anche a San Giovanni ha soffiato l’“antipolitica”. Addirittura: l’esigenza di disimpegno. Al centro del Concertone dovevano esserci “speranza, passione e futuro”, quindi la fantascienza, ma il sotto-testo dei manifestanti era: “Fateci divertire”. Per questo il più convincente è stato Caparezza, un pazzo di talento che declina la protesta in salsa obliquamente allegra. Hanno funzionato alcune cover del rock. Ha ricevuto applausi Nina Zilli, apparsa persino elegante prima di aprire bocca (e prorompere in una dizione da Sora Lella). Quando però ha azzardato un proletario “Io non sono nata ricca”, magari per ingraziarsi l’onda rossa (rossa?), c’è mancato poco che non la seppellissero con una grandinata di “sticazzi”.

Chi ha provato a uscire dal seminato musicale ha indotto involontariamente al riso (il cantante dei Nobraino, che si è rasato in un impeto caricaturale di iconoclastia), oppure non ha scaldato. A partire dai presentatori, Francesco Pannofino e Virginia Raffaele. Bravi, nei loro ambiti, ma poco coesi e fuori parte. Leggevano platealmente dal gobbo, sembravano parlare di Pink Floyd con la stessa padronanza che aveva la Gel-mini dei neutrini. E se recitavano salmi didascalicamente politicanti, come le favole rilette al tempo del governo tecnico, non ottenevano consensi. È piaciuta la lettura di Leonardo Sciascia, ha commosso il passaggio sulle morti bianche di Carlo Lucarelli: non molto altro. Il Concertone, musicalmente, è sembrato un Sanremo 2.

Politicamente non ha dato segno di sé. Come se perfino i consessi teoricamente preposti alla militanza obbligatoria non ne potessero più dei vecchi riti collettivi. Giusti o sbagliati che fossero.

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