Nel 1998, alla vigilia del lancio dell’euro, il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, lodò il fatto che i governi nazionali avevano scelto, con lodevole apertura mentale, di privilegiare “il permanente plebiscito dei mercati mondiali” rispetto al “plebiscito delle urne”.

A giudicare dalle reazioni delle Borse al risultato del primo turno delle elezioni francesi, sembrerebbe che i mercati non abbiano la stessa apertura mentale nei confronti dei risultati del “plebiscito delle urne”. Per di più, come spesso accade, il “voto dei mercati” richiede qualche sforzo interpretativo. Che cosa non è piaciuto? Che Hollande è in testa o che non è in testa con un vantaggio tale da garantire la sua vittoria al secondo turno?

L’affermazione del partito di Le Pen o il buon risultato del Front de Gauche di Mélenchon? In genere, sono le situazioni di incertezza quelle che piacciono meno ai mercati. E in questo caso l’incertezza non manca davvero.

Non solo: ieri è uscito il dato della produzione industriale dell’Eurozona, in calo più del previsto. E allora i mercati scendono perché la vittoria di Hollande potrebbe pregiudicare la politica di austerity prevista dal fiscal compact, o perché non piace la recessione che è il risultato di quella politica? Forse dovremmo, semplicemente, finirla di far dipendere ogni scelta politica dall’andamento giornaliero dei mercati. E confidare nel fatto che, se le politiche adottate sono giuste e largamente condivise, i mercati dovranno infine prenderne atto.

Il Fatto Quotidiano, 24 Aprile 2012

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