Il Fondo monetario internazionale avverte: all’orizzonte si avvicina un enorme “credit crunch”. Ci si aspetta diciotto mesi di passione con circa il 7 per cento degli asset delle banche europee fuori dal mercato, il che vuol dire un meno 1,7% di liquidità da iniettare nell’economia reale dell’Eurozona. Tra le conseguenze dirette, si avrà un danno ai prezzi degli asset stessi, una riduzione della disponibilità di credito e del Pil degli stessi Paesi Ue. È quanto emerge dal Global Financial Stability Report pubblicato pochi giorni fa dove gli esperti economisti del Fondo monetario internazionale fanno le previsioni della situazione economica globale alla luce degli indicatori attuali. E le previsioni sono a dir poco cupe. L’aumento del credit crunch (il fenomeno per cui le banche sono restie a prestare denaro, anche tra di loro, per via dei rischi di insolvenza) rappresenta una vera  mazzata per l’economia europea, specie in quei Paesi dove si cerca disperatamente di avvicinarsi il più possibile a quel pareggio di bilancio sognato un giorno a Bruxelles, vedasi Spagna e Italia.

“Le grandi banche europee potrebbero restringere i propri bilanci fino a 2mila miliardi entro la fine del 2013, o almeno del 7 per cento del totale dei propri asset”, si legge nel rapporto. “La nostra stima è che almeno un quarto di queste restrizioni potrebbe arrivare da una riduzione dei prestiti, con il resto proveniente dalla vendita di azioni e di asset secondari”. Questa situazione, secondo gli esperti Fmi, porterebbe “ad un impatto per la zona Euro di circa il l’1,7% del credito”. La possibilità che questa contrazione di capitali avvenga su vasta scala può portare a “seri danni ai prezzi degli asset, alla disponibilità di credito e al Pil degli stessi Paesi Ue”.

Come se la situazione di economie precarie come quella spagnola, mai risolte come quella greca e sempre pericolanti come quella italiana, avesse bisogno di peggior auspicio. La soluzione? Secondo Olivier Blanchard, capo economista del Fmi, non si va da nessuna parte senza una nuova ricapitalizzazione delle banche, ovvero riempire di nuovo i caveau degli istituti di credito europei con nuovo contante fresco fresco. A questo scopo, secondo Blanchard, potrebbe servire il nuovo fondo salva-Stati Ems, che diventerebbe a tutti gli effetti un fondo “salva-Banche“. D’altronde quale migliore occasione per inaugurare gli 800 miliardi di euro riservati per il firewall attorno all’Europa?

A questo proposito sempre l’Fmi conferma di aver raccolto 320 miliardi per l’Eurozona, 200 dei quali dai Paesi europei stessi e solo 120 dall’esterno. Davvero pochino a ben guardare le reali esigenze dei Paesi in crisi, ma d’altronde chi poteva fare di più si è tirato indietro. Si tratta dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), i quali nelle settima scorse avevano parlato chiaro: o si rivedano le quote all’interno del direttivo del Fmi o bye bye aiuto alla cara vecchia, e malata, Europa. La riforma del 2010 che gli accorderebbe più potere al Fondo è ancora bloccata, quindi l’Eurozona deve vedersela da sola. Non più generosi si sono dimostrati Usa e Canada, che non ci hanno messo nemmeno un dollaro.

Eppure nemmeno la possibilità di ricapitalizzare le banche a suon di milioni di euro (dei contribuenti europei) riesce a rappacificare i mercati. Le banche non riescono a scrollarsi di dosso l’immagine di giganti dai piedi d’argilla. Tant’è che l’Autorità bancaria europea (EBA), che dal 1 gennaio 2011 ha il compito esclusivo di sorvegliare il mercato bancario europeo, pare intenzionata a redigere un databse pubblico entro un paio d’anni che permetterà a tutti gli investitori di calcolarsi il proprio stress test personalizzato sull’affidabilità di un istituto di credito. Proprio la mancanza di questo tipo di informazioni, secondo Andrea Enria dell’EBA, è stata una delle cause dell’incertezza dei mercati. Il problema è che i Paesi dell’Eurozona e le loro economie non possono di certo aspettare due anni per stabilizzarsi.

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