Il «presidente normale» contro l’«iperpresidente». E’ su questa sfida a distanza che si è chiusa ieri sera la campagna elettorale per il primo turno delle presidenziali francesi. Sinistra contro destra. François Hollande contro Nicolas Sarkozy.

Giochi già fatti? I sondaggi dell’ultima ora (fino a domenica sera, niente potrà più essere pubblicato, né si terranno altri comizi: silenzio assoluto) danno Hollande superfavorito, anche al secondo turno (dal 55 al 57% di consensi). La grande, vera incertezza riguarda l’astensionismo (ancora al momento attuale tra il 22 e il 30% dei francesi non ha deciso se presentarsi alle urne). Senza contare l’estrema volatilità del voto: almeno un francese su due ha cambiato opinione negli ultimi sei mesi. Se domani una parte consistente degli astensionisti deciderà di andare a votare, chi sceglierà? Forse ne approfitteranno i maggiori outsider, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon.

François versus Nicolas Hanno praticamente la stessa età (58 anni il primo, 57 il secondo). Ma alle spalle due esistenze parallele. Hollande figlio della buona borghesia di provincia, un padre che filtra con l’estrema destra dal quale prende le distanze, una gioventù nella Parigi del post 68 (ma non fu mai un rivoluzionario), impegnato da subito nella politica (socialista), allievo modello nelle grandes écoles della Repubblica. E, poi, una lunga carriera nel Ps, fin dai tempi di Mitterrand. Sarkozy, invece, figlio dell’alta borghesia (ma un po’ decaduta) parigina, che sceglie da subito la tradizione gollista della famiglia, che non viene ammesso alle grandes écoles. E che alternerà la politica a una carriera di avvocato d’affari. François, piuttosto radical chic. Nicolas pericolosamente attirato dal mondo del jet-set.

«Presidente normale» versus «iperpresidente»Ieri sera Hollande, nel suo ultimo comizio, a Charleville-Mézières, ai confini con il Belgio, in una zona industriale in crisi, ha perfino scomodato Rimbaud, citandone queste parole : «Facciamo talvolta questo sogno emozionante, di vivere con semplicità, con ardore, senza dire niente». L’allusione è al suo «sogno francese», ma anche all’immagine che ha voluto dare nella sua lunga (e studiatissima) campagna, quella di un futuro Presidente come la gente «normale», distante anni luce dagli eccessi (anche glamour) di un certo Sarkozy. Hollande si presenta come erede di François Mitterrand, ma senza quella distanza quasi regale che fu propria dello statista, eletto alla guida del Paese nel 1981. Sarkozy, invece, ha deciso di prounciare il suo ultimo discorso, prima del black-out elettorale, a Nizza, tradizionale terra di destra. Ha chiesto ai suoi sostenitori di aiutarlo a imporre «la scelta di una Francia forte», tentando di riproporre la sua immagine di «iperpresidente», come a lungo è stato chiamato, nei tempi d’oro. E cercando di opporsi al rivale come uno che ha l’esperienza di amministrare (Hollande non è mai stato neanche ministro).

Due temibili outsider La grande incognita del primo turno è rappresentata dai due estremi, a destra e a sinistra. Ovvero, Marine Le Pen, la candidata del Front National, e Jean-Luc Mélenchon, candidato del Front de gauche. Che, paradossalmente, si raggiungono spesso sugli stessi temi, contestatari, critici nei confronti dell’alta finanza e delle élites. Particolarmente insidiosa appare la Le Pen, che è salita nei sondaggi degli ultimissimi giorni, sfiorando il 20% dei consensi. Potrebbe attirare una parte degli astensionisti, gli elettori dell’ultima ora, fra i giovani e nel ceto medio-basso, più colpito dalla precarizzazione del lavoro, un fenomeno in crescita in Francia. Pure Mélenchon, un ex socialista ed ex mitterrandiano, che ha ormai sposato una dialettica pseudorivoluzionaria, potrebbe attirare una parte degli astensionisti, ancora del ceto medio-basso in difficoltà, sebbene di un livello culturale più elevato rispetto alla Le Pen. E anche i delusi della sinistra più tradizionale e tecnocratica.

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