Prima il terremoto della crisi. Appalti e commesse che crollano. Le banche che non fanno credito. Lo Stato che non paga più. E adesso il sole che si oscura. Il sole si chiama Roberto Formigoni, da 17 anni governatore padrone della Lombardia, il motore più potente dell’economia nazionale. È lui, il celeste, il punto di riferimento per migliaia di imprenditori, artigiani professionisti, soprattutto piccoli e piccolissimi, che hanno scelto l’ombrello della Compagnia delle Opere per darsi una mano e mettersi al riparo dagli alti e bassi della congiuntura.

Sono tanti, tantissimi, oltre 30 mila imprese e un migliaio di enti no profit, per il 70 per cento concentrate al Nord e soprattutto in Lombardia, con un giro d’affari globale nell’ordine dei miliardi di euro. Numeri ufficiosi, perché un censimento esatto non è mai stato fatto. È la macchina di Comunione e fatturazione, per dirla con un gioco di parole che dice tutto e anche di più. Perché se un esercito di onesti militanti del movimento fondato da don Luigi Giussani assiste attonita e scandalizzata allo spettacolo del governatore che si trastulla allegramente tra yacht e faccendieri, d’altra parte lo smarrimento si diffonde anche tra le file degli imprenditori ciellini, o sedicenti tali.

È vero che la Compagnia delle Opere, una sorta di Confindustria nata in seno al movimento ecclesiale, si è creata per tempo entrature e appoggi anche in altri ambienti. Basti pensare, come racconta Ferruccio Pinotti nel suo libro La lobby di Dio (Chiarelettere), alla reciproca simpatia sbocciata nei confronti del segretario del Pd Pier Luigi Bersani o l’alleanza sotterranea con il mondo delle coop rosse. Il motore di tutto, però, resta sempre lo stesso: l’apparato di potere, cioè di poltrone, incarichi e clientele varie, che i politici ciellini hanno da sempre assicurato a imprenditori, banchieri e funzionari con il distintivo dei seguaci di don Giussani.

Il formigonismo è la massima espressione di questo sistema. E adesso che il celeste arranca, un misto di delusione, angoscia e smarrimento si insinua tra le fila dei militanti, quelli sinceri e gli opportunisti. Tra i primi vanno annoverati le migliaia di imprenditori del no profit e del volontariato, gente che impegna a fare del bene e assiste attonita alle peripezie, e alle acrobazie, del governatore. Poi c’è la razza padrona il salsa ciellina. Sono loro che si sentono mancare la terra sotto i piedi e forse incominciano a pensare che sarebbe meglio per tutti se Roberto facesse un passo indietro. In pubblico nessuno parla, nessuno si espone, ma tutti si chiedono quanto potrà durare e quali danni potrà fare l’indecente spettacolo in questi giorni finito sotto gli occhi di tutti. E per fortuna che la Lega, l’unica che negli ultimi anni aveva saputo insidiare alcune roccaforti dei formigoniani (nella sanità, nelle aziende pubbliche regionali), non è proprio in condizioni di partire all’attacco. Magra consolazione, però. E allora trema, la razza predona ciellina.

Tremano innanzitutto le aziende che da anni sguazzano nel fiume di denaro che ha inondato il sistema sanitario lombardo, sistema efficientissimo, per carità, come ripete sempre Formigoni. Poi c’è il network del potere vero, quello che comprende banche e grandi aziende. Il mattone innanzitutto con aziende di costruzioni targate Compagnie delle Opere, come il consorzio veneto Consta o la Montagna.

Viaggia a tutta velocità anche una macchina da soldi (e di appalti) come la Fiera di Milano, una galassia di società da sempre presidiata da ciellini doc come Antonio Intiglietta e il deputato Pdl, Maurizio Lupi, amministratore delegato di Fiera Milano congressi. Lupi, per la verità, sembra tutt’altro che affranto dalle disavventure di Formigoni, lui che da sempre ne soffre l’esuberanza. Un ex manager della Fiera è anche Claudio Artusi, a capo di Citylife, il più ambizioso progetto immobiliare milanese, tra grattacieli e palazzi da archistar. E anche un manager di lungo corso di simpatie cielline come Luigi Roth, ora a caccia di una poltrona, è transitato dal vertice della Fondazione Fiera.

Resta rampantissimo, anche se da qualche tempo un po’ in ribasso , l’avvocato Graziano Tarantini, classe 1960, fondatore della Compagnia delle Opere a Brescia, fino a pochi mesi fa vicepresidente della Popolare di Milano e presidente in carica dell’azienda energetica A2A, in condominio tra i comuni di Milano e di Brescia. La scalata di Paolo Fumagalli, 52 anni, un altro avvocato ciellino, socio di studio di Tarantini, l’ha portato invece fino al collegio sindaca-le del’Eni e a quello della Cassa depositi e prestiti. Due poltrone eccellenti a cui Fumagalli associa alcuni incarichi nel gruppo Intesa, di cui in passato è stato consigliere. Proprio Intesa è considerato l’istituto di credito che da sempre ha riservato più attenzioni alla Compagnia delle opere. Con l’ex numero uno del gruppo bancario, l’attuale ministro Corrado Passera che nel recente passato aveva a più riprese cercato, in diverse uscite pubbliche, il sostegno dei ciellini. Azionista forte di Intesa è la Fondazione Cariplo dove in quota Cl troviamo il finanziere Angelo Abbondio. Nei prossimi mesi si apriranno i giochi per il rinnovo dei vertici della grande fondazione bancaria nel 2013 e molti pronosticavano un assalto dei ciellini alle posizioni del presidente Giuseppe Guzzetti. Ma con i tempi che corrono, il vecchio democristiano Guzzetti può stare tranquillo.

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