Crisi e politiche economiche sono ormai un segno comune di molti paesi europei. Per capire come stanno affrontando questi temi fuori dalle frontiere nazionali, da oggi ilfattoquotidiano.it inizia una collaborazione con il collettivo spagnolo econoNuestra, composto da economisti, accademici, studenti, ricercatori e giornalisti del paese iberico. Alle analisi sulla situazione economica di quest’associazione che si prefigge di diffondere idee economiche critiche, diamo voce attraverso questo blog. EconoNuestra ci farà conoscere così di volta in volta le proprie analisi e proposte economiche sulla crisi, e ci metterà al corrente anche dell’agenda del Movimento degli Indignados del 15M. Questo il primo contributo:

Il dibattito accademico e politico sulla crisi si sta centrando sulle cosiddette “politiche di austerity”. Tuttavia è necessaria una riflessione su paradossi e contraddizioni di questo termine.

Applicare queste politiche equivale ad agire con razionalità economica. Ma l’austerity non pareva comparire nell’agenda quando si produceva la vertiginosa crescita dell’indebitamento e della speculazione finanziaria.

In effetti, questi due fatti hanno alimentato un formidabile business, soprattutto per banche, grandi imprese, patrimoni e operatori finanziari. La generalizzazione del debito è stata una pietra angolare delle politiche di contenzione salariale praticate negli ultimi decenni, mentre si permetteva di espandere il consumo e aumentare i benefici delle imprese.

Tanto meno si può dire che si noti un’austerity nei fondi pubblici messi a disposizione per salvare le banche, né per concedere liquidità a condizioni vantaggiose. Per non parlare di altri versanti dell’austerity, come l’ecologia, sempre ignorata, al di là dei protocolli e deludenti “summit climatici”. Che si può dire delle conseguenze delle politiche dei tagli portati a compimento dai governi, indipendentemente dal loro profilo idelogico?

In primo luogo al posto di aprire scenari di soluzione possono solo aggravare la crisi economica. In una situazione di gravi restrizioni del credito, di eccessivo stancamento di famiglie e imprese, consumo privato debole e ombre sul futuro, la riduzione della spesa pubblica rafforza il carattere contrattivo del ciclo economico.

Queste politiche volute dalla Germania acuiscono gli squilibri esistenti, in cui i guadagni di alcuni, le eccedenze commerciali, coincidono con le perdite di altri, il deficit. Queste asimmetrie sono all’origine delle crisi nella maniera in cui l’intensificazione di queste significa riprodurre i vizi strutturali delle economie.

Bisogna fare, tuttavia, una riflessione più profonda che va oltre l’attuale congiuntura. Dietro le politiche di erosione del settore pubblico – le erroneamente definite politiche di austerity – si intravede qualcosa di più, che consiste nel sottomettere la sfera pubblica agli imperativi del mercato. Si ignora, o forse no, che il mercato non ha imperativi né di quantità né di qualità sufficiente, né tanto meno li assegna con criteri di equità precisi.

Le politiche pubbliche che sono adesso l’obiettivo più importante dei tagli sono pezzi basilari del benessere della popolazione. La coesione sociale allude ad un processo multidimensionale, i cui perimetri si situano oltre la frontiera del mercato, che si estende, tra le altre questioni, all’uguaglianza di genere, l’accesso alla sanità e all’educazione, all’inclusione delle minoranze e ai processi partecipativi.

Non dobbiamo dimenticare neanche, noi economisti, che intorno agli spazi sociali pubblici si generano diritti e risorse il cui sviluppo fa in modo che la vita delle persone sia degna e creativa. La debilitazione del settore pubblico allarga la frattura sociale che non è nuova, ma che in questo modo raggiungerebbe proporzioni sconosciute e difficilmente reversibili.

Riassumendo, la crisi e la sua gestione stanno modificando le relazioni di potere, riorganizzandole proporzionalmente alla debilitazione del settore pubblico. La presa d’assalto dello stato di benessere, le privatizzazioni massive, l’appropriazione di una parte crescente delle entrate e della ricchezza da parte dei gruppi meglio posizionati nella struttura sociale, la debilitazione o la marginalizzazione delle istituzioni, il crescente protagonismo delle lobby industriali e finanziarie formano parte del panorama strutturale che sta emergendo.

Non ci piacerebbe concludere senza esporre queste tre conclusioni:

  • Primo: è necessaria la creazione di un fondo europeo con volontà e capicità di sostenere i debiti sovrani per ridurre le pressioni sui debiti, e per sottoscrivere un programma di creazione e redistribuzione della ricchezza.
  • Secondo: il deficit pubblico è apparso come conseguenza della crisi e i trasferimenti alle istituzioni finanziarie. Tuttavia, non si è pretesa nessuna contropartita affinché queste non li utilizzino in benefit agli azionisti o per le remunerazione di alti direttivi, o affinché non li utilizzino – cosa peggiore – contro i debiti sovrani.
  • Terzo: esistono risorse  finanziarie che potrebbero essere utilizzate per diminuire il deficit pubblico e, ancora più rilevante, per mobilitare risorse al servizio di una nuova strategia produttiva, sociale e ambientale senza conseguenze negative per i diritti civili.

Queste risorse possono reperite con una maggiore progressività fiscale, con la persecuzione delle occasioni di frode e attraverso la tassa sulle transazioni speculative.

Traduzione dallo spagnolo a cura di Alessia Grossi

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