Di tutte le spiegazioni che i politici hanno dato per giustificare i loro comportamenti disinvolti, bisogna riconoscere che quelle di Formigoni sono di classe superiore. Altro che l’algido distacco con cui Scajola ha inventato il contributo a sua insaputa, diventato ben presto il più usato dei tormentoni.

La storia delle vacanze di gruppo e il modo in cui l’ha raccontata a Lerner è un colpo di puro genio creativo, di fronte al quale tutto il resto – le riflessioni, alcune anche sensate, sulla sanità lombarda, l’imitazione della vita di Cristo – perde ogni interesse. Il bello è tutto lì, in quelle vacanze di gruppo rievocate con entusiasmo, con eccitazione, con gaiezza. Peccato che manchino le diapo come si faceva una volta nei dopocena con gli amici al rientro da un bel viaggio.

C’è tutto un mondo, tutta una storia, tutta la nostra vita in quelle tre parole magiche, “vacanze di gruppo”. C’è un po’ di oratorio, il primo viaggetto con l’amico più grande che ha già la seicento e un po’ di interrail dopo la maturità; c’è persino un po’ di sessantotto quando gruppo era bello e tutto ciò che era di gruppo ( lavoro di gruppo, gruppo di studio ) era migliore. Ci sono un po’ I vitelloni e un po’ Amici miei. E chi non ha vissuto queste cose, chi le vacanze le fa con la famiglia peggio per lui che s’è perso il bello della vita.

Insomma siamo di fronte non a un’argomentazione politica ma a un vero romanzo popolare, generazionale. E poi dicono quelli del Pulitzer che non hanno trovato nessun narratore così creativo e rappresentativo da meritare l’ambito riconoscimento. Se solo ascoltassero i racconti di Formigoni….

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