Per lui non si verseranno troppe lacrime. Carlo Petrini, la gola profonda del calcio italiano, il “cattivo” delatore delle nefandezze di trent’anni di pallone nostrano, è morto questa mattina all’ospedale di Lucca a 64 anni. Ricoverato nel reparto di oncologia da sabato scorso, le sue condizioni, secondo quanto si apprende da fonti sanitarie, al momento del ricovero erano gravissime.

Da tempo malato di un tumore che lo aveva portato alla cecità, l’ex attaccante di Milan, Torino, Catanzaro, Roma e Bologna era stato tra i primi a denunciare l’uso del doping nel mondo del calcio in particolare tra negli anni Sessanta e Settanta, ed era diventato il fustigatore del mondo del pallone italiano spiegando all’incredulo universo pallonaro dei tifosi la quotidianità delle combine per aggiustare le partite. Coinvolto nello scandalo scommesse nel 1980, proprio mentre giocava nel Bologna di Marino Perani, Petrini abbandonò il calcio, per poi fuggire in Francia braccato dagli usurai e dalla malavita e infine rientrò in Italia a fine anni novanta con l’intuizione di raccontare le sue esperienze di “calciatore” in diversi libri tra cui il best seller Nel fango del dio pallone (Kaos edizioni, 2000).

“Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente”. Così si era presentato, intervistato dal fattoquotidiano.it a dicembre del 2011, il calciatore senese. Il primo a raccontare soprattutto di doping nel mondo del calcio con accuse circostanziate e ricordi parecchio nitidi: “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E’ stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”.

Le sostanze dopanti, più sinteticamente definite “bumbe”, Petrini inizia ad assumerle a metà anni sessanta mentre gioca nel Genova, allenato dall’ex portiere dell’Inter Ghezzi. Siringhe con sostanze rossastre prima della gara, intrugli, pasticche di Micoren, beveroni, la lista di Petrini è infinita e mai rifiutata. Non prenderle significava “stare fuori dal giro, niente macchine di lusso, ragazze, soldi”. E da qui ai cosiddetti accordi tra calciatori per sistemare le partite prima di giocarle, il passo è breve.

Nel fango del dio pallone raccoglie nei dettagli ogni combine, telefonata, incontro sospetto tra Petrini e decine di dirigenti e calciatori degli anni settanta. Clamoroso ciò che accadde proprio a Petrini giunto a Bologna, dopo due anni di militanza nel Cesena in serie B e dieci decisivi gol segnati.

Petrini arriva sotto le due torri nel settembre del 1979 da riserva del bomber Beppe Savoldi, ma starsene a guardare gli altri giocare fastidio non gli fa. Ed è proprio lui, come scrive nel volume edito dalla Kaos a pagina 109, a spiegare come Savoldi, Franco Colomba e Beppe Dossena gli chiesero di scommettere su Bologna-Napoli. Petrini contatta l’amicone romano Cruciani che però gli dice che le giocate sono già chiuse. Cruciani, commerciante all’ingrosso di frutta, entrature in Vaticano, fu il primo a presentarsi in Procura a Roma per denunciare, paradossalmente, una truffa ai suoi danni da parte di alcuni giocatori della Lazio. Quando per Petrini, Cruciani era l’uomo che a Roma “poteva farti puntare su qualsiasi partita di calcio”.

Tocca allora al match con la Juventus del 13 gennaio 1980. La vecchia signora che navigava nelle parti basse della classifica si accorda per un pareggio con il Bologna. Petrini tira in ballo il direttore sportivo bolognese dell’epoca, Riccardo Sogliano e tutti i compagni di squadra, eccetto Sali e Castronaro. Tutti, dopo l’entrata negli spogliatoi di Sogliano qualche giorno prima del match a dire che la partita doveva finire in pareggio, puntano 50 milioni sul pari con 5 milioni personali messi dall’allenatore Perani che chiede proprio a Petrini di girarli al mediatore Cruciani.

Fu l’anno del calcio scommesse che coinvolse decine di squadre italiane. Seguiranno condanne per Petrini, penalizzazioni in classifica per il Bologna (meno 5 punti nel campionato successivo) e per i giocatori coinvolti per le decine di partite “combinate” quell’anno (nel Bologna Savoldi venne allontanato dai campi di calcio per tre anni e Colomba per tre mesi). Pene, secondo Petrini, troppo blande. Come quelle comminate ai quei giocatori che ancora oggi proseguono nel “taroccamento” dei match di A, B e Lega Pro.

Petrini nel 2001 scrisse anche un libro sul giocatore Donato Denis Bergamini: Il calciatore suicidato. Volume che permise, dopo 20 anni, di riaprire giudiziariamente il caso dello strano suicidio per “amore” del calciatore ferrarese, travolto da un camion su una strada calabrese, finito probabilmente ad essere testimone di in un traffico di stupefacenti dov’era coinvolta la ‘ndrangheta.

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