Facciamo così. Siccome non sono un mago, né un indovino, mi sgancio da quanti – in queste ore – si stanno sperticando su teoremi e teorie astruse sul povero Piermario Morosini. Ci sarà l’esame autoptico e, aperto il fascicolo, forse un procedimento della magistratura abruzzese, quantomeno per l’ambulanza ostruita dall’auto della Polizia Locale (che fenomeni!) Però, siccome faccio il giornalista, dalla tragedia di Pescara-Livorno e dallo sguardo svuotato di Zeman, prendo l’assist per rileggere i casi di due calciatori italiani, morti in attività, a favore di telecamera.

Serie A, 16 Marzo 1969, Stadio Amsicora, post Cagliari-Roma. Improvvisamente, sotto il naso di compagni e mister Helenio Herrara, nello spogliatoio ospite rantola e muore Giuliano Taccola, 26enne (come Morosini), attaccante romanista. “E’ stata una fatalità”, dice il Mago. Ma la vicenda è misteriosa. Archiviato ogni procedimento, per la famiglia non c’è nemmeno la consolazione del responso dell’autopsia. Infarto? Collasso? Broncopolmonite fulminante? Macché. “Fu un omicidio scomodo”, senza darsi pace, sostiene la vedova Marzia Nannipieri, misconoscendo la fatalistica versione dell’insufficienza acuta cardio-respiratoria.

Una verità che, già nel 1969, aveva imbeccato proprio il medico sociale del Cagliari, il Dott. Frongia, descrivendo su La Stampa gli ultimi attimi di Taccola e il giro di medicinali col collega Visalli. “Pochi minuti dopo la partita – disse – proprio mentre ero nell’infermeria dello stadio, veniva da me il medico della Roma, Visalli, per richiedermi un flacone di Penicillina. Gli consegnai un prodotto che uso sempre, che si chiama Neopenil-S, informandolo che conteneva un milione di unità di Penicillina, e mezzo grammo di Streptomicina. Dopo qualche minuto, però, il medico della Roma tornò da me, chiedendomi una fiala di Coramina. Capii che la situazione stava aggravandosi e, pur non conoscendo né il nome del giocatore ammalato, né l’entità del male, offrii al collega il mio aiuto”. Secondo le rilevazioni (postume) dell’ex capitano romanista Giacomo Losi e la casistica (fiorente) di morti analoghe negli anni ’60, Taccola sarebbe morto per un’iniezione di Penicillina (probabilmente) allungata con l’anestetico Procraina (Novocaina), causa di choc anafilattico e arresto cardiaco in pochi minuti. Altro che fato.

Serie A, 30 Ottobre 1977, Stadio Pian di Massiano, in campo Perugia-Juventus. Piove, da 5 minuti è iniziata la ripresa. Renato Curi, regista perugino di 165 centimetri da Ascoli Piceno, di colpo stramazza a terra. Occhi rovesciati, barella con coperta, juventini con mani nei capelli. A fine gara, il collegamento radio ‘Tutto il calcio, minuto per minuto‘. La notizia dalla mitica raucedine di Sandro Ciotti: “Scusa Ameri, il giocatore del Perugia Curi, è morto”. Miocardite acuta? Infarto a causa di disfunzione cardiaca?

Scriveva La Stampa nel 1977: “Curi era infortunato, ma si è atteso l’ultimo momento per decidere. Una infiltrazione di Novocaina dove la gamba fa male, poi dopo qualche minuto un piccolo test (qualche scatto, due calci al pallone) per vedere se il male è diventato sopportabile. ‘E’ la prassi normale’ dice il dottor Tomassini, tralasciando quanto meno di rilevare come l’anestesia locale tolga soltanto la sensazione dolorifica e non la causa del male, anzi finisca per sottrarre all’organismo proprio quelle difese che si esplicano con il dolore”. Il processo per omicidio colposo, durato 5 anni fino in Cassazione con doppio Appello, ha però schivato la pista Novocaina, lasciando agli imputati la sola accusa di negligenza nella cura della patologia del calciatore. Risultato? Assoluzione dei medici di Perugia (Dott. Tomassini) e Nazionale italiana (Dott. Fini), oltre al proscioglimento del cardiologo di Coverciano (Prof. Branzi). Però (beffarda coincidenza) quando decenni dopo lo spettro del doping si abbatte su Farmacia Juventus, Cecilia vedova Curi dichiara ai microfoni del Tg1: “Voglio incontrare Raffaele Guariniello”. Senza costituirsi parte civile, sostiene che al marito fu somministrata Novocaina in fiala e che  l’avrebbe certamente rifiutata se solo – un medico – prima dell’iniezione lo avesse informato dei rischi, annessa reazione choc anafilattico. Altro che fato.

Brava FIGC che ha sospeso la domenica del pallone. Lode al Presidente (uscente) Abete per l’iniziativa, più unica che rara. Però, c’è un però: non si perda l’occasione.

Approfittiamone per riflettere, creando nuova consapevolezza. Lo scrivo in primis ai tifosi del Livorno: troppe volte dalla curva hanno rovinato ‘minuti di raccoglimento’ con grida e inutili cori. Noi come loro, e giustamente ieri i pescaresi, oggi piangiamo un figlio d’Italia, oltre colori e bandiere: la morte è uguale per tutti, per un parà della Folgore come per un Amaranto, senza fischi. Ma approfittiamone anche per interrogarci sui perché delle morti assurde nel calcio, serie minori incluse. Lutti anonimi per impianti pericolosi e fatiscenti, latitanza di primo soccorso sui campi di base, dal dilettantismo alle giovanili. Dove, senza clamori e diretta Tv, si muore come Piermario Morosini. E senza defibrillatore.

L’ultima, oggi (sovrapposizione macabra di date!) sono 23 anni esatti da Sheffield, strage allo Stadio di Hillsborough: era il 1989, muoiono in curva 96 tifosi del Liverpool, corpi schiacciati e riversi in campo. Senza un colpevole, giustizia inglese. Evidentemente, tutto il mondo è paese…

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