Ho visto due volte Romanzo di una strage, una insieme a ognuno dei miei due figli. Volevo che sapessero che cos’è stata l’Italia che non conoscono, perché spesso non si studia neanche a scuola, perché “non ci si arriva con il programma”.

Non voglio parlare del valore del film, dell’immane lavoro di documentazione e ricerca compiuto dagli sceneggiatori, dall’accuratezza non oleografica della regia, dell’altissimo livello di tutte le collaborazioni, dalle acconciature alla musica, ai costumi, al suono, alla fotografia. C’è però una cosa che mi ha commosso profondamente, e non posso fare a meno di parlarne. Sono gli attori del film, tutti, protagonisti e comprimari, fino al figurante da due inquadrature, il ferramenta che vendette a Freda i 50 timer. Tutti, vecchi e giovani – ma soprattutto giovani. Così giovani che forse anche loro, come molti di quelli che hanno meno di quarant’anni, sapevano poco di quelle vicende. Forse anche loro non l’hanno studiate a scuola. Eppure questi attori in gran parte nati dopo la strage di Piazza Fontana – tra cui molti che normalmente fanno solo parti da protagonista, che sono star del cinema e della tv – pur di essere in questo film hanno anche accettato di fare una particina, o addirittura una comparsata.

Mi piace pensare che la loro bravura, la loro forza nell’interpretare i tanti personaggi di una vicenda vecchia di quarant’anni venga anche dalla consapevolezza che, proprio come succede nella vita di ogni uomo, anche un Paese che non riesce a conoscere le verità che lo riguardano è destinato a rimanere per sempre nella minore età, “fissato” per sempre a un destino che non conosce e che non può scegliere.

Il film racconta però anche un’altra storia, che non ha nulla a che vedere con stragi, strategia della tensione e omicidi politici. La drammatica spaccatura tra fascisti e comunisti allora infatti impediva di vederne con chiarezza un’altra, che purtroppo continua fino a oggi. Ed è la scissione tra giornalisti, magistrati, politici e forze di polizia che credevano nei valori civili e nella verità e quelli invece disposti a vendersi o a piegarsi alle esigenze della convenienza personale o di parte.  Quelli che hanno “coperto”, che hanno insabbiato, che non hanno testimoniato.

I giovani attori di Romanzo di una strage hanno capito il valore della testimonianza: c’è tutta una generazione, che mi sembra si riconosca anche in una parola demodé e che da noi, nel paese del cinismo trionfante, ti devi anche un po’ vergognare a pronunciare. La dignità.

Il cinismo, la mancanza di dignità, il familismo partitico o mafioso: sono queste patologie delle classi dirigenti e intellettuali che hanno tenuto per tutti questi anni il nostro paese in uno stato di grottesca minore età. Se volete un’immagine che sintetizzi tutto ciò, basta pensare all’involuzione dei palinsesti della nostra tv pubblica. In tutti questi anni gli interessi forti e la cattiva politica non hanno mai dovuto faticare per trovare il giornalista, il magistrato, il poliziotto – insomma una persona “ragionevole” disposta a sostituire il proprio collega che aveva pagato con il sacrificio della propria carriera o addirittura con la vita, la fedeltà ai valori della verità e della democrazia.

C’è un dettaglio, una piccola cosa forse, che compare nei titoli finali di Romanzo di una strage, su cui mi piacerebbe che questo giornale facesse una battaglia. I magistrati che hanno diretto i processi di Piazza Fontana (e anche Piazza della Loggia) non hanno sentito il bisogno di dimettersi pur di non condannare i familiari delle vittime alle spese processuali.

Perché non aprire una grande sottoscrizione? La verità ha un prezzo che dobbiamo pagare tutti, non è un problema di chi in quelle orribili stragi ha perso delle persone care. Se non ci ridestiamo da questo “coma etico” che si prolunga dagli anni Settanta non potremo capire neanche la crisi che ci colpisce oggi. Ho letto che Walter Veltroni ha proposto che siano i partiti a pagare queste spese processuali. Io credo che se vogliono fare qualcosa di importante politicamente, se proprio vogliono aprire una pagina nuova, i partiti – tutti insieme – dovrebbero chiedere l’apertura anticipata degli archivi, italiani e stranieri, che tengono nascoste quelle verità, lontane ma essenziali, che ci riguardano. Dovrebbero avere il coraggio e la dignità di chiedere ai nostri amici americani, vent’anni dopo il crollo del muro di Berlino, di creare una commissione d’inchiesta congiunta, che stabilisca quelle verità che indagini e processi nostrani non sono mai stati in grado di scoprire.

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