Come perdere miliardi di euro con una firma. La storia di Cassino, comune di 33mila abitanti situato a metà strada fra Roma e Napoli, mostra tutta la potenza distruttiva dei contratti derivati firmati negli anni dalle amministrazioni pubbliche di mezzo mondo. I cronisti di Bloomberg, che hanno ricostruito la vicenda della cittadina italiana, l’hanno definita una scommessa persa nello stesso momento in cui è stata effettuata. L’inchiesta della testata americana non permette di capire se ci sia stata intenzionalità da parte dei responsabili pubblici. Di certo quell’azzardo ora lo stanno pagando i cittadini, visto che per recuperare le perdite l’amministrazione comunale sta tagliando, tra l’altro, i fondi per gli asili nido e alzando le tasse sui rifiuti. Insomma, ecco uno dei casi che ha portato la Banca d’Italia a stimare in 1,2 miliardi di euro il costo che i contribuenti dovranno pagare per i contratti derivati firmati da alcuni Comuni. Tanti, perché oltre al caso di Cassino ci sono grandi città italiane, prima fra tutte Milano, la tedesca Pforzheim e la contea di Jefferson, in Alabama, protagonista del più grande fallimento municipale negli Usa.

La ricostruzione di Bloomberg è basata su documenti ufficiali. In particolare sul contratto che l’amministrazione di Cassino firmò nel 2003 con Bear Stearns, banca acquisita nel 2008 dalla Jp Morgan. Obiettivo dell’accordo: trasformare il tasso fisso di un mutuo in un tasso variabile. Il prestito, contratto con la Cassa Depositi e Prestiti al tasso fisso del 4,7 per cento, ammontava a 22,5 milioni di euro. Il contratto con Bear Sterns prevedeva di agganciare l’interesse pagato dal Comune al Dollar Libor, un tasso interbancario. Il contratto funzionava così: Cassino pagava interessi variabili legati al Libor, la banca versava in contropartita un interesse al tasso fisso del 4,7 per cento. Se il Libor era basso, il Comune incassava la differenza. Altrimenti a guadagnare era la banca.

Qual è il problema? Che in quel momento il Dollar Libor era al minimo storico: 1,19 per cento. Una scommessa “estremamente rischiosa”, l’hanno definita gli inquirenti nel 2009 in un’audizione al Senato. Ma l’allora sindaco di Cassino, Bruno Scittarelli, non indugiò. Firmò l’accordo senza cercare offerte concorrenti, scrive Bloomberg citando documenti comunali. Com’è finita? Secondo i calcoli riportati dalla testata statunitense, il contratto derivato permise a Cassino di guadagnare soldi solo il primo anno, nel 2003. Poi, con l’aumento dei tassi di interesse interbancari, i costi per il Comune cominciarono a lievitare. E la banca iniziò ad incassare. Anno dopo anno. Il migliore è stato il 2006, quando l’istituto ha ottenuto dal Comune di Cassino mezzo milione di euro. La cittadina laziale non ha nemmeno potuto beneficiare dello scoppio della crisi finanziaria, nel 2008, quando i tassi di interesse interbancari precipitarono. Nel contratto c’era infatti una clausola che prevedeva il blocco al 4,95 per cento.

L’emorragia è stata interrotta nel 2008, quando il Comune ha fermato i pagamenti e fatto causa a Jp Morgan. L’anno seguente, per chiudere la partita, la banca americana ha pagato alla città 386mila euro come compensazione. Morale della favola? A causa dei derivati, Cassino ha perso 577mila euro, più della metà di quanto spende ogni anno per gli asili nido comunali. Alle domande di Bloomberg l’allora sindaco della città, Bruno Scittarelli, non ha risposto. E così hanno fatto anche i due banchieri che all’epoca firmarono l’accordo: Bonito Oliva, ora a Londra in una società di energia rinnovabile (S2R), e Alberto Guazzi, passato alle dipendenze della svizzera Banca del Ceresio.

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