Dopo la causa intentata da Yahoo! nei confronti di Facebook, la battaglia legale tra i due colossi dell’informatica ha segnato un nuovo capitolo. L’azienda di Mark Zuckerberg ha infatti presentato al tribunale di San Francisco una contro-denuncia nei confronti di Yahoo!, lamentando a sua volta la violazione di brevetti di sua proprietà. Tutto normale? Per niente. Perché questa vicenda conferma come i brevetti software siano la più grande pagliacciata mai vista nel mondo dell’informatica.

Nel mio immaginario, un brevetto serve a garantire il (giusto) guadagno a chi registra un’invenzione. Qualcosa di nuovo, innovativo e originale. Quando si parla di software, però, le cose diventano complicate e si scade spesso nell’assurdo. Il problema non è tanto nella gestione del sistema, ma nella validità del sistema in sé. Non è un caso che in Europa la brevettabilità dei software sia formalmente esclusa. I brevetti software, per loro natura, sono vaghi, generici e troppo ampi. Anche per il giudice è terribilmente difficile distinguere tra un plagio e una semplice similitudine, senza contare che esistono brevetti che coprono funzioni diventate ormai un vero standard in qualsiasi programma. Al di là del rischio che i brevetti blocchino l’innovazione, il risultato pratico è che nessuna azienda si preoccupa di rispettare i brevetti altrui, limitandosi a correre ai ripari nel malaugurato caso in cui spunti un’azione legale.

La tecnica difensiva adottata in tema di brevetti non è meno assurda del sistema. Nel 99% dei casi l’azienda accusata della violazione incarica il suo studio legale di individuare i brevetti in suo possesso che potrebbero essere stati violati dall’avversario. Intenta poi una causa uguale e contraria a quella subita e cerca di arrivare a un accordo in cui le due società concedono l’una all’altra l’utilizzo dei rispettivi brevetti. Solo in qualche caso capita che la causa porti a una condanna e a un risarcimento. Di solito si tratta di piccole aziende che tentano il “colpo grosso” nei confronti di qualche gigante informatico (qualche azienda cinese ci ha provato con Apple) o di società in crisi nera che si aggrappano alla speranza di spuntare un qualche vantaggio. Nella maggior parte dei casi, però, Davide non batte Golia e la funzione “naturale” del brevetto resta inapplicata. Ma le bizzarrie del mondo dei brevetti software non finiscono qui.

Andando a leggere l’atto depositato da Facebook si scopre, per esempio, che viene denunciata la violazione di 10 brevetti: esattamente lo stesso numero indicato da Yahoo! il 16 marzo. Compensazione preventiva? L’aspetto più curioso, però, riguarda le tempistiche. Spulciando il database dell’ufficio brevetti USA si scopre che quattro dei dieci brevetti fatti valere dai ragazzi di Zuckerberg nella contro-denuncia sono stati acquistati da Facebook dopo il 16 marzo, data in cui Yahoo! ha avviato la causa. Uno di questi è stato registrato il 30 marzo, mentre altri 3 non sono nemmeno registrati a nome di Facebook: nel database risultano ancora di proprietà dell’Università di New York. Per la legge americana, però, la società di Zuckerberg ha 3 mesi di tempo per registrare l’acquisto. Quindi Facebook ha denunciato Yahoo! per aver violato dei brevetti che non erano di sua proprietà fino a una manciata di giorni fa. Degli altri sei, cinque sono stati acquistati negli anni scorsi e solo uno riporta come primo depositario il nome di Mark Zuckerberg.

Tutto questo ha un qualche senso? Sembrerebbe di sì, visto che tutto risulta formalmente corretto e nel mondo del business nessuno si stupisce più di tanto. Il social network, prossimo alla quotazione in borsa, si è trovato spiazzato dall’attacco del concorrente e ha dovuto fare i conti con una “debolezza” che in molti avevano già segnalato: il possesso di un numero relativamente basso di brevetti. Solo 160, rispetto al migliaio che in media posseggono società come Microsoft, Google e compagnia bella. Tanto che, all’indomani della causa giudiziaria, fonti riservate citate dalla stampa americana riferivano che Facebook sarebbe subito corsa a comprare 750 brevetti da IBM per rimpinguare il suo arsenale di proprietà intellettuale e giocare ad armi pari con i concorrenti. L’assurdo Risiko dei brevetti software continua.

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