Roberto Maroni lancia la candidatura del sindaco uscente di Verona, Flavio Tosi

Piuttosto che eleggere un bossiamo, meglio cancellare il simbolo della Lega alle prossime elezioni comunali. Questa è la legge di Flavio Tosi, sindaco di Verona. L’ultima sfida all’Ok Corral fra bossiani e maroniani si consuma nel Far West leghista della bassa Veronese, a Cerea, un comune di 16 mila abitanti. Qui la Lega è al 40 per cento di voti, può farla da padrona, anche per il dissolvimento del Pdl, mentre il Pd è destinato all’opposizione. Può andare da sola alle elezioni comunali del prossimo maggio, prendersi il sindaco, magari l’intera giunta, forse la maggioranza assoluta in consiglio comunale. Anche mollando la vecchia coalizione con Pdl e Udc, che ha governato la cittadina negli ultimi anni.

Il candidato già c’è e studia da tempo da sindaco: è l’assessore comunale ai servizi sociali, Emanuela Carmagnani. Ha, però, un difetto: è bossiana e fa riferimento al parlamentare Alessandro Montagnoli, fedelissimo di Bossi. Ma l’ordine di Tosi è perentorio: no pasaran bossiani nella sua terra elettorale. L’incarico di mettere a punto la strategia contro il candidato sindaco e contro i bossiani è affidato al segretario provinciale della Lega veronese, il fedelissimo del sindaco di Verona, Paolo Paternoster.

Prima si commissaria la sezione del Carroccio “per irregolarità e ritardi nei tesseramenti” e si nomina al vertice il consigliere regionale Andrea Bassi, altro fedelissimo di Tosi. Immediato, però, arriva il ricorso della Carmagnani che si affida alla segreteria nazionale per ottenere giustizia. La segreteria leghista del Veneto, in mano agli uomini del Cerchio Magico di Bossi, le dà ragione e annulla il commissariamento. Tuttavia sia Bassi sia la Carmagnani rimangono di fatto ai loro posti. E la soap opera mette in onda la trecentesima puntata della saga leghista.

La Carmagnani, comunque, non molla: in ballo c’è la candidatura a sindaco. Decide, dunque, di andare alla conta in sezione per farsi indicare come candidata sindaco per la Lega. E gli iscritti si contano e di misura scelgono proprio lei. «La sezione ha deciso la mia candidatura a sindaco. Abbiamo trasmesso la documentazione alla segretaria provinciale con i nomi dei componenti della lista scelti tra i nostri militanti e sostenitori di sezione. Non ci aspettiamo nessun tipo di ostacolo dal provinciale e poi c’è sempre un segretario nazionale che potrà, eventualmente, decidere a chi affidare il simbolo del partito», dichiara fiduciosa qualche mese fa.

Fiducia mal riposta, perché i tosiani già hanno messo in pratica il piano B. Che fare allora, pur di non far eleggere il candidato bossiano? A male estremo, estremo rimedio. Basta tergiversare all’infinito con il simbolo della Lega. E’ la segreteria provinciale che deve affidare il simbolo, a lei spetta il compito di attribuirlo alla lista. Intanto i mesi passano e il simbolo non arriva: e mai arriverà. Un’attesa che dura fino a ieri, giorno della presentazioni delle liste. La candidata in pectore per la Lega, pur di correre alle elezioni comunali è costretta a inventarsi una sua lista civica, con tutti candidati leghisti, dove compare nel simbolo il Leone veneto e un appassito Sole. Com’è appassita la Lega da quelle parti in una lotta che nemmeno la vecchia Dc ha mai messo in scena.

di Paolo Tessadri

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