Massimo Calearo “persona orrenda”? Sarà. E chi lo ha candidato come lo definiamo? Da Veltroni ci saremmo aspettati – più che delle scuse – una riflessione (autocritica) sul metodo e sui criteri della selezione della classe politica. E una proposta di svolta. Veltroni si limita invece a sostienere che “Il Pd lo candidò [Calearo] all’unanimità”. Non è proprio così. E comunque non è una scusante. Ma poiché la stragrande maggioranza dei membri del Consiglio nazionale del Pd (da Rosy Bindi a Bachelet, da Fassina a Bersani, da Adinolfi a tutti i “rottamatori”) approvò quella/e candidatura/e, il caso Calearo riguarda in realtà tutto il Pd. (Per non parlare di Penati ed altri).

Intanto il metodo. È sempre quello della cooptazione. Perciò i partiti, e il Pd, continuano a essere tutto fuorché democratici. E come dice Nando Dalla Chiesa, “la vita interna di partito disegna il tipo di società e di Stato che intendi costruire”.

Poi i criteri della selezione. Non meritocratici. Veltroni candidò Calearo perché era il presidente di Federmeccanica, Associazione che “tutela gli interessi dell’industria metalmeccanica”. Cosa c’è di sbagliato? Niente, tutto. È la solita politica intesa come mediazione di interessi, solo comeredistribuzione delle risorse del paese. E inoltre, consociativa: non si persegue una redistribuzione basata su principi generali – p.es. “ridurre la povertà relativa al 7%” – ma agli amici, e agli amici degli amici, membri di una alleanza politica di potere (che Veltroni voleva “allargare”). Insomma, se si fa politica per interesse, poi non ti stupire… Cosa serve invece? Qualità! Gente capace di progettare la crescitacivile del paese. Il che richiede una classe politica diversa: molti più intellettuali-tecnici, e attivisti dai movimenti (anti-mafia, per la democrazia, l’ambiente, ecc.): portatori di competenzemotivazioni concrete, sui problemi che il partito ritiene prioritari. Immettere questi personagginei partiti evita il rischio di una tecnocrazia slegata da un progetto politico, solo apparentemente “neutrale”.

La crisi economica è devastante sul piano sociale e umano (per quelli che perdono il lavoro); molto complessa; del tutto risolvibile. In Italia si sommano 4 crisi:

(1)   dei consumi e degli investimenti
(2)   della competitività
(3)   del debito pubblico
(4)   delle banche

La complessità nasce dal fatto che le quattro crisi sono interdipendenti. Se si interviene su una senza tenere conto degli effetti sulle altre, si rischia di aggravare le altre, causando anche effetti retroattivi negativi sulla prima questione. Ad es., in questi mesi siamo riusciti a spiegare che l’austerità (per affrontare la crisi n.3) aggrava la recessione (crisi n.1), e crea degli effetti retroattivi sulla crisi n.3 (calo delle entrate) – oltre ad aggravare la n.4 e alleviare la n.2. Un altro esempio? Se affrontiamo la crisi n.2 riducendo (i salari, e) l’inflazione al di sotto della media europea, riduciamo anche il denominatore del rapporto debito pubblico/PIL (si aggrava la crisi n.3), salgono gli spread e le banche soffrono (crisi n.4), prestano meno (si aggrava la crisi n.1).

A complicare ulteriormente le cose si aggiunge un falso indizio, un depistaggio della Storia che confonde molti: il declino della produttività (crescita) italiana del 2002-2008 (inefficienza, corruzione, ecc.). Non c’entra con la crisi (vale per molti altri problemi importanti), ma molti non lo capiscono. (Suggerimenti: l’inefficienza italiana non si è impennata nel 2008-09; negli anni “50 eravamo molto più inefficienti di oggi, ma crescevamo a tassi del 6% l’anno).

Tutto ciò per dire cosa? Che la crisi è come un rebus, un cubo di Rubik: risolvibile, ma pochi hanno le idee chiare. Succede, con i fenomeni complessi. Occorre gente che ha studiato queste crisi per anni ai massimi livelli; mentre Mario Monti studiava altri problemi (la concorrenza), gli economisti di Chicago studiavano i problemi della produttività, e tu, gentile lettore, studiavi… ecco, appunto. Urgono economisti in grado di indicare una via d’uscita efficace alla crisi, alternativa a quella (inefficiente) di Monti, Merkel, Draghi, o degli Chicago Boys che “la crisi, perché Monti non fa” – mai – “abbastanza sul serio”. E che sappiano spiegarla, affinché l’opinione pubblica – non una tecnocrazia incontrollata – prenda le decisioni di fondo, e controlli l’attuazione. Ma costoro non trovano spazio nei partiti. Perciò Bersani va da Hollande (che ha dietroFitoussi) a firmare un Manifesto contro quell’Europa disfunzionale che il governo italiano – da lui sostenuto – assieme alle destre europee sta edificando. Bersani, dov’è la tua alternativa?

“Io no ho mai rubato”. “Io non ho mai evaso”. “Io non ho creato la crisi”, dicono i leader del Pd. Non basta! Non ho mai sentito una sola proposta dei “nostri”, ieri per restituire democrazia e riformare la politica, oggi per uscire dalla crisi. Ma il potere implica responsabilità.

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