Il 9 marzo 2012 il Governo ha pubblicato sul proprio sito istituzionale un documento con il quale, rispondendo a 14 domande da se stesso formulate, motivava le ragioni per la realizzazione della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità/Capacità Torino-Lione. Le risposte presentate sono improprie, imprecise e non risultano soddisfacenti a chiarire con il rigore e la qualità auspicabili le motivazioni di un’opera così costosa e impattante. In attesa di poter avviare un serio confronto basato su dati oggettivi e su criteri di valutazione verificabili con metodo scientifico, è stata presentata oggi dalla Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone una approfondita analisi del documento del Governo (scaricabile anche qui) essa è frutto dell’impegno collettivo degli Autori afferenti alla Commissione Tecnica «Torino-Lione» della Comunità Montana e del contributo di esperti esterni in varie materie. Ha comportato alcune centinaia di ore di lavoro prestate a titolo personale e non retribuite.

Si tratta di un documento molto corposo e, contrariamente, al documento del Governo, tutto basato su dati verificabili, fonti e citazioni disponibili.

Io ho contribuito specificatamente per la parte che riguarda l’impatto ambientale. Mi riprometto di riportare ed analizzare le altre questioni, ma ora inizio a parlare “del mio”, anche se già in parte anticipato su un mio articolo qui su Il Fatto Quotidiano.

Affermazioni categoriche quali quelle contenute nel documento governativo sul fatto che «il progetto non genera danni ambientali diretti e indiretti» si commenterebbero da sole, se non fosse che le risposte oltre ad essere surreali dal punto di vista tecnico (qualsiasi grande o piccola opera genera impatti sul contesto territoriale ed ambientale in cui viene inserita) sono molto scorrette, alla luce anche delle pesanti prescrizioni del Cipe e delle integrazioni della Commissione Speciale di Valutazione di Impatto Ambientale, considerato lo stato attuale delle conoscenze e delle procedure amministrative sin qui avviate.

Nel documento governativo e nel progetto preliminare della tratta italo-francese elaborato da Ltf il problema dell’amianto è stato minimizzato: si ammette «la presenza di amianto solo per i primi 400/500 metri», in una zona dove per anni Ltf  ha negato che si potessero trovare rocce amiantifere. Salvo poi ammettere nella documentazione prodotta nell’ambito della procedura di via “…la presenza di rocce potenzialmente contaminate da presenza naturale di vene asbestiformi che possono determinare durante le fasi di scavo e movimentazione di materiale di risulta una contaminazione ambientale in aria e su superfici di entità non trascurabile”.

Le misure di cautela per lo smarino amiantifero affermano che esso verrà chiuso in sacchi per spedirlo all’estero: anche solo 500 metri di tunnel di base corrispondono a 170.000 m3, pari al carico di 17.000 Tir. Per lo scavo del tunnel si definisce come “tenore molto basso” un tenore sotto il 5% delle rocce potenzialmente riscontrabili durante lo scavo, mentre il limite di legge parla di 0.1%. Si ricorda che l’impiego dell’amianto è fuori legge in Italia dal 1992. La legge [1] è chiara al riguardo: anche poche fibre possono causare gravi danni sanitari. Il documento [2] dimostra che l’Università di Torino nel 1995-1998 effettuò sondaggi nell’area evidenziando una presenza certa di crisotilo e tremolite, minerali amiantiferi. Gli studi erano stati commissionati da Alpetunnel, la prima società incaricata della progettazione della tratta.

I sondaggi più recenti effettuati che affermano scarsa presenza di amianto sono contestabili. Le trivellazioni sono state effettuate in punti dove era notorio non vi fosse amianto: la struttura tettonica della catena alpina è molto complessa, essendo stata interessata nelle varie ere geologiche dalla sovrapposizione di diversi eventi plicativi, quindi con molta probabilità, in aree limitrofe, si sarebbero conseguiti risultati diversi. Rilievi dell’università di Siena su 39 campioni di roccia testati in bassa valle indicano ben venti casi di fibre di amianto [3].

Anche le misure della radioattività, che nel documento governativo sono qualificate come “al di sotto delle soglie di legge”, fanno riferimento a recenti e limitati carotaggi. Innanzitutto la Legge Italiana, a riguardo, non presenta soglie, ma livelli di riferimento e azione basati sul principio di giustificazione e non applicabili univocamente [4]. Inoltre, le mineralizzazioni di uranio in Valsusa sono una realtà appurata in tempi precedenti al progetto Tav: la presenza di Pechblenda uranifera nelle rocce del massiccio D’Ambin, oggetto dello scavo del tunnel di base, è ampiamente documentata fin dagli anni 1960-1970, fino a misure dell’Arpa negli anni 1990 [5]. Sul versante francese, analoghe prospezioni furono svolte dalla società Minatome. Sul versante italiano, in valle di Susa e Cenischia l’uranio abbonda, si contano ben 28 anomalie spettrometriche e tutte le ricerche sopracitate riportano presenze rilevanti di minerali radioattivi.

E’ ingiustificato affermare, sulla base di alcuni carotaggi effettuati in aree limitate, che un tunnel di 57 km passi indenne dall’uranio in una formazione geologica (Scisti d’Ambin) che ne è ricca.

Il documento si avvale anche delle riflessioni contenute in un appello che centinaia di Docenti universitari e professionisti hanno recentemente inviato al Presidente del Consiglio, richiedendo di riconsiderare le ragioni alla base di questa iniziativa, così come è stato fatto, apprezzabilmente, per il ponte sullo stretto di Messina e le Olimpiadi di Roma. L’appello è rimasto inascoltato. Cosa ne sarà ora di questo documento?

[1] Legge n. 257/92, Pubblicata in Suppl. Ord. n. 64 alla Gazz. Uff. n. 87, Serie Generale, Parte Prima del 13.4.92.

[2] “Studi geologici in Val Susa finalizzati ad un nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione”, pubblicato dalla Regione Piemonte nel 2004.

[3] Vari articoli in: Medicina Democratica numeri 165-167 gennaio / giugno 2006

[4] Decreto Legislativo del Governo n° 230 del 17/03/1995, doc. 395B0230.900 di Origine Nazionale e pubblicato su : Gazz. Uff. Suppl. Ordin. n° 136 del 13/06/1995, e s.m.i., tra cui Decreto Legislativo del Governo n° 241 del 26/05/2000, doc. 300B0241.000 di Origine Nazionale emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato su : Gazz. Uff. Suppl. Ordin. n° 203 del 31/08/2000.

[5] G. Borello, “Relazione Tecnica relativa al Permesso di Ricerca per minerali di Uranio e Torio, denominato “VENALZIO”, nei Comuni di Venalzio, Novalesa e Giaglione”, Diverse Relazioni per Somiren SpA. e Agip SpA Attività Minerarie. S.Donato Milanese (MI) 1959/1960.

Sergio Lorenzoni, “Studio geo-petrografico del versante italiano del Massiccio d’Ambin”. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Centro Nazionale per lo Studio Geologico e Petrografico, Società Cooperativa Tipografica, Padova, 1965, in particolare: pp.79-80. http://www.legambientevalsusa.it/Images/uranio-amianto/cnr65.jpg

Daniele Ravagnani, “I giacimenti uraniferi italiani e i loro minerali”, Gruppo Mineralogico Lombardo, Museo Civico di Storia Naturale, Milano, 1974, in particolare p.49 e segg.

Emilio Pacchiarotti, “Relazione Geomineraria e Programma dei lavori relativi al permesso di ricerca per minerali di uranio e di torio denominato Rocca d’Ambin”, Agip S.p.a., S. Donato Milanese, 15 aprile 1977.

Lettera dell’Arpa Piemonte, Dipartimento Subprovinciale di Ivrea, a Legambiente, su “Risultati analisi campione di roccia”, a firma Mauro Magnoni e Giampaolo Ribaldi Ivrea, 9.10.1997, rif. 1372/IR 93, prot. n.3065. Reperibile al sito: http://www.legambientevalsusa.it/Images/uranioamianto/

arpa.jpg e “Relazione tecnica sul problema della radioattività in Val di Susa”. Relazione n. 193/IR (1998); trasmessa al Prefetto di Torino, alla Regione Piemonte e all’Arpa Piemonte Dip. Grandi Rischi, con lettera dell’Arpa Piemonte, Dipartimento Subprovinciale di Ivrea, a firma Giampaolo Ribaldi del 19.2.1998, rif. IR/49, prot. 1798.

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