L’Italia è il Paese dei passi piccoli. Ovvio che per andare da qui a lì ci si mettano 40 anni, e, arrivati a destinazione, come nel Gioco dell’Oca, si torni indietro. Prendiamo per esempio i congedi di paternità. È un pensiero carino non scaricare tutto intero il peso della natalità sulle spalle delle donne, consentire loro di lavorare ed essere madri, non metterle, cioè, davanti all’alternativa del diavolo: carriera o affetti, l’io o l’altro, amputarsi o cancellarsi.

Visto che i figli si fanno in due (anche se l’una è certa e l’altro tocca avvisarlo), è logico che a curarli, si sia in due. Meno logico, ma- ahimè – inevitabile, è renderlo obbligatorio, detto congedo: prendersi cura della debolezza dei più piccoli (o dei più vecchi) è un lavoro faticoso ripetitivo invisibile e socialmente poco gratificante. Chiede pazienza e nobiltà, altruismo e abnegazione. È anche intenso e dolce, ma bisogna esserci portati, saperselo godere. Quindi meglio essere madri per obbligo, quando capita d’essere padri.

Tuttavia, Ministra Fornero, non si poteva protrarre “la ferma” un po’ oltre i tre giorni? Tre giorni sono una licenza. La leva, quand’era obbligatoria, durava 18 mesi. Poi l’hanno ridotta a 12. Un anno per imparare a dare, ipoteticamente, la morte. E per imparare a mantenere in vita? Sicuri che basti così poco?

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