Pasta con i piselli e minestrone di fave: è il menù che il carcere abruzzese di Sulmona offre ogni giorno ai detenuti. Una dieta ferrea che non è adeguata al detenuto Michele Aiello, il ricchissimo prestanome di Bernardo Provenzano condannato in via definitiva a 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa. L’ex re Mida della sanità siciliana soffre infatti di favismo, una patologia genetica che lo rende intollerante a gran parte dei legumi. Il guaio è che la direzione del carcere di Sulmona non sarebbe in grado di offrire pietanze prive di fave e piselli.

E’ per questo che il tribunale di sorveglianza dell’Aquila, presieduto da Laura Longo, ha concesso ad Aiello di lasciare il carcere per un anno e scontare la pena ai domiciliari nella sua Bagheria: era ristretto nel carcere abruzzese da appena un anno e due mesi, e cioè dal 22 gennaio 2011, quando la Cassazione mise il bollo sulla sua condanna. Un periodo in cui a causa della dieta a base di fave Aiello avrebbe perso circa dieci chili. “Il vitto carcerario – scrivono i giudici che lo hanno scarcerato – non ha consentito un’alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti”. Per il tribunale di sorveglianza in pratica l’ex prestanome di Provenzano, deus della rete di talpe all’interno della procura di Palermo, correrebbe “un reale e concreto pericolo di vita” a causa proprio della mensa carceraria a base di legumi.

“Se il motivo della concessione della detenzione domiciliare a Michele Aiello è il favismo e l’impossibilità di dare un menù adeguato al detenuto, sinceramente non riesco a comprendere cosa sia avvenuto”. Ha commentato Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Dda di Palermo e pm del processo di primo grado contro Aiello. Di Matteo si è chiesto anche “cosa abbia impedito di cambiare il menù o la dieta di Aiello oppure che cosa non abbia consentito di valutare la possibilità di un trasferimento in una struttura penitenziaria in cui si potessero curare i suoi problemi di salute”.

Ad Aiello sono stati sequestrati beni per circa 800 milioni di euro, compresa Villa Santa Teresa, una clinica di cura all’avanguardia in cui un ciclo completo di terapia contro il cancro alla prostata veniva rimborsato dalla Regione Sicilia con una cifra venti volte superiore rispetto alle tariffe dell’Emilia Romagna.

Nella stessa vicenda di Aiello erano stati condannati l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, che sta scontando sette anni a Rebibbia, i carabinieri Giorgio Riolo, condannato sette anni e cinque mesi, Antonio Borzacchelli, in attesa del pronunciamento della Cassazione, e il boss Giuseppe Guttadauro, che ha recentemente beneficiato di un maxi sconto di 800 giorni di pena per la sua “irreprensibile” condotta in carcere.

Articolo Precedente

La corruzione come l’infiltrazione mafiosa Così la prefettura potrà sciogliere il Comune

next
Articolo Successivo

Il sospetto dei pm: i segreti della trattativa dietro l’affare di Villa Dell’Utri

next