Di recente, Antonio Padellaro, Flores D’Arcais, Furio Colombo, e altri, hanno sottolineato il disagio di una parte dell’elettorato – che non si sente pienamente rappresentato né dai partiti di sinistra né dal governo Monti. Qualcuno auspica una svolta nel PD; altri la nascita di “liste civiche”. Ma su che base? E’ possibile individuare i motivi di insoddisfazione, trasformandoli in elementi di identità e proposta politica? Un’occhiata alla Spagna può aiutarci a chiarire i termini delle questioni economiche in ballo.

La Spagna soffre di una profonda depressione economica. La disoccupazione è al 22% e in crescita, quella giovanile al 50%. Nel 2011 il deficit pubblico è stato pari all’8,5% del PIL: l’obiettivo del 6% è stato nettamente mancato, nonostante l’economia crescesse ancora. Nel 2012-2013 il FMI prevede una caduta del PIL (i dati del primo trimestre confermano). Nonostante ciò, e benché lo sforamento del deficit nel 2011 fosse figlio della recessione, il premier Rajoy ha risposto inasprendo l’austerità. In realtà il governo ha provato ad alzare l’obiettivo del deficit dal 4% al 5,8% (l’obiettivo del 2013 è sempre il 3%); ambiva pur sempre a ridurre il deficit di 2,7% del PIL l’anno, in piena depressione! Non basta all’Europa della Merkel, che ha minacciato sanzioni. La Commissione ha dunque spedito in tutta fretta una missione a Madrid: si sono accordati per un deficit al 5,3%, in cambio di forti liberalizzazioni del mercato del lavoro.

Intanto, i prezzi delle case crollano al ritmo dell’11,2% l’anno destabilizzando le banche, cariche di crediti inesigibili nei confronti del settore immobiliare garantiti da “collaterale” (immobili) che vale sempre meno. I crediti ammontano ufficialmente a circa 400 miliardi, il 40% dei PIL: e l’anno scorso fonti governative indicavano in 15-20 miliardi la somma necessaria per ricapitalizzare (salvare) le banche; ma il Ministro delle Finanze Luis de Guindos ora parla di “50 miliardi”. E gli spread hanno ricominciato a crescere (come in Portogallo e Irlanda). Lo Stato salva le banche, che salvano lo Stato con i soldi della BCE, mentre l’economia reale va giù: un pericoloso castello di carte, l’apogeo della finanza creativa. Anche la tenuta sociale del paese scricchiola: il 29 Marzo si terrà uno sciopero generale, iniziativa senza precedenti. La Spagna assomiglia sempre più all’Irlanda del 2008: salvo che è troppo grande per essere salvata con i “prestiti ponte”.

La destra europea diffonde ottimismo, ma le sue politiche sono rischiose per l’Europa, inefficienti (sul piano macro): non garantiscono né la ripresa economica, né la stabilizzazione: fiscale, finanziaria, e sociale. Tratta le “crisi di solvibilità” come fossero mere “crisi di liquidità”: crede che bastino soluzioni finanziarie, i “prestiti ponte”, in attesa che tutto torni normale. Ma senza crescita e lavoro, molti soggetti diventano insolventi, e nei paesi più deboli c’è il rischio di avvitamenti stile Grecia. Dopo tanti fallimenti, la destra europea ha finalmente inserito la “crescita” nella sua equazione. Ma gioca sulle parole: intende “crescita del potenziale produttivo”, non del PIL e dell’occupazione. Perciò, in mancanza di meglio, pigia sull’efficienza microeconomica, comprimendo le tutele sociali. E di fronte al decoupling dal resto del mondo (vedi tabella) è costretta all’ottimismo (di facciata), e all’esaltazione della crisi (in privato) come strumento di pressione politica. Le politiche microeconomiche “giuste nel momento sbagliato” e quelle “sbagliate” (articolo 18) son figlie del fallimento del laissez faire macroeconomico.

L’elettorato di sinistra gradisce la competenza e l’onestà di Monti, la sua moderazione, il dialogo e il decisionismo, l’impegno per una maggiore “equità delle opportunità”. Sogna una classe politica parlamentare disposta anche in futuro a mandare al governo tecnici di livello etico e professionale non inferiore ai Montiani; capaci di risolvere i problemi del paese: non dei semplici amministratori. Al tempo stesso, vorrebbe un governo che combatte la disoccupazione. E che non punta a recuperare competitività comprimendo i diritti dei lavoratori (sono operazioni di breve respiro).

Tutto ciò passa però per una riforma dell’Europa, le sue politiche, le sue istituzioni: i singoli paesi, specie se indebitati, hanno spazi di manovra troppo esigui. La sinistra è chiamata a un compito storico: salvare l’Europa, portarla fuori dalla crisi, trarne le opportune lezioni istituzionali, aumentandone la rappresentatività. Hollande lo ha capito: perciò il rapporto con lui è dirimente. In Italia, c’è un vuoto. Chi aspira a riempirlo dovrà proporre, da sinistra, soluzioni economiche più efficaci di quelle di Rajoy, Merkel, Sarkozy, Cameron, e Monti; e in grado di “competere al centro”. In caso contrario, gli elettori preferiranno affidarsi anche nel 2013 a un leader di destra: un grande leader, com’è Mario Monti.

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