Lo scienziato, il pacifista, semplicemente l’uomo. È un ritratto a tutto tondo di Albert Einstein quello che emerge dalla pubblicazione online di oltre 80.000 documenti d’archivio per iniziativa della Hebrew University of Jerusalem – che lo stesso Einstein ha contribuito a fondare, e a cui ha lasciato i diritti dei suoi lavori e della sua immagine –, finanziata dalla britannica Polonsky Foundation e in collaborazione con Princeton University e California Insitute of Techology. Fotografati e messi in rete per la prima volta, i manoscritti restituiscono tanto il lavorìo scientifico che prepara e segue la Teoria della Relatività, quanto il profilo umano del nobel per la Fisica.

Sul fronte privato, ecco affiorare particolari perfino umoristici. Non solo il fisico tedesco collezionava lettere di fan sui suoi capelli, tra cui quella di una bambina di 6 anni che scriveva: “Ho visto una tua foto sul giornale. Penso tu abbia proprio bisogno di un taglio”, ma anche un appunto di un collega: “Sto facendo un’indagine scientifica per determinare perché il genio ha spesso la tendenza ai capelli lunghi”. Tra i miti da sfatare, quello di un giovane Einstein non bravo a scuola, mentre un altro testo finora inedito demolisce l’idea che la sua identità ebraica, timida nei primi anni, si fosse rafforzata solo ai tempi del nazismo.

Ma è forse il pensiero politico di Einstein che emerge con più forza dalle nuove carte. “Fu un sionista, ma attenzione all’uso di questa parola”, ha avvertito Roni Grosz, curatore dell’archivio. Inizialmente scettico sul progetto di Stato di Israele, salvo poi appoggiarlo in modo convinto dal 1948, l’anno della sua nascita, il premio Nobel credeva fermamente nel dialogo tra arabi ed ebrei, che nella sua visione ideale avrebbe dovuto portare ad una futura “intima comunità di nazioni”, come sostiene nel corso di una corrispondenza datata 1929 con Azi al-Nashashibi, direttore del quotidiano palestinese Falastin.

Non è la prima volta che il web dimostra le sue straordinarie potenzialità di divulgazione scientifica, preziose anche per scopi di ricerca. La stessa Polonsky Foundation aveva collaborato alla resa digitale dell’opera di Isaac Newton, senza dimenticare come anche 6000 fogli manoscritti di codici leonardeschi sono visibili in rete già dal 2007. “La conoscenza non è nascondere, ma aprire”, sottolinea infatti Menachem Ben Sasson, rettore della Hebrew University.

Il Fatto Quotidiano, 21 Marzo 2012

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