Peggio del ’29. L’epitaffio si trova scritto nell’ultimo rapporto del Centro Studi di Confindustria in cui si evidenzia come la nostra economia stia soffrendo addirittura di più di quanto accaduto durante la Grande Depressione. Tra il 1929 e il 1935 il prodotto interno lordo del nostro paese subì infatti una flessione di circa il 5%. Dal 2007 ad oggi l’arretramento è stato invece del 6%. Si tratta per di più di una peculiarità tutta italiana perché nel resto del mondo è invece accaduto esattamente l’opposto. Se infatti nella prima metà degli anni Trenta l’economia mondiale registrò una contrazione del 6%, nei 5 anni appena trascorsi il Pil è cresciuto a livello globale di quasi il 25%.

Il rapporto fornisce un’analisi dettagliata e ricca di cifre sul malessere della nostra economia. L’Italia inizia la sua lunga frenata già nella seconda metà degli anni 90 ma negli ultimi 10 anni il rallentamento si fa più intenso e il distacco rispetto agli altri paesi aumenta. Tra il 2000 e il 2010 il Pil pro capite italiano, ossia la ricchezza prodotta da ogni abitante, diminuisce del 2,3% mentre in paesi come Germania, Gran Bretagna e Svezia cresce di oltre il 10%, in Spagna del 7 e in Francia del 5%. Nella classifica delle economie mondiali l’Italia è così scivolata dall’ottavo posto che ricopriva nel 2000 al decimo attuale, con la prospettiva di perdere un’altra posizione prima del 2016.

Secondo il Csc i semi della bassa crescita sono stati piantati a partire dagli anni 70. In particolare l’esplosione del debito pubblico o l’ impennata del numero di dipendenti pubblici (+ 34,5% negli anni Settanta e + 15% negli anni Ottanta) senza un miglioramento della qualità dei servizi hanno avuto l’effetto di deteriorare l’ambiente in cui imprese e lavoratori si trovano ad operare. Da qui la progressiva perdita di competitività che vede l’Italia perdere dieci posizione nella classifica dei paesi più competitivi,scendendo tra il 1992 e il 2011 dal 27 esimo al 37 esimo posto.

Ce n’è insomma a sufficienza per deprimersi o, peggio, rassegnarsi a un destino di progressivo declino. Il rapporto prova tuttavia a ribaltare le debolezze in punti di forza. Crisi e perdita di ricchezza possono fornire il propellente per le realizzazione di quelle riforme di cui si discute infruttuosamente da almeno un decennio. Meglio se realizzate con il modello “big bang”, ossia tutte insieme, in modo che nessun gruppo di interesse venga privilegiato e ciascuno compensi i costi sostenuti con i vantaggi ricevuti dagli altri campi. La ricompensa finale è indicata nero su bianco: lasciando le cose come stanno nel 2030 il pil per abitante sarà superiore a quello attuale di 2760 euro l’anno mentre con l’avvio di una seria ed ampia azione riformatrice l’incremento triplicherebbe raggiungendo i 11.160 euro.

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