Uomini vicini alla ‘ndrangheta in rapporto con il capo dell’antimafia di Genova, il procuratore Vincenzo Scolastico. Il tutto, rigorosamente annotato nell’ordinanza che poche settimane fa ha portato in carcere Antonio e Serafino Fameli. Nell’inchiesta, che imputa ai Fameli una girandola di intestazioni fittizie, società estere e investimenti immobiliari in Sudamerica tramite prestanome, emerge più volte il nome di Vincenzo Scolastico, per anni procuratore capo a Savona e ora coordinatore della Dda a Genova.

A far emergere questi inquietanti rapporti è stata una lite tra il faccendiere di Loano e il figlio Serafino, che dal Brasile curava i suoi interessi. Un “normale” scontro interfamiliare per la vendita di un appartamento in Brasile, che sfocia nelle minaccia di Serafino di rivelare tutti i possedimenti del padre: “Quando faccio comodo sono anche io tuo figlio – scrive in una email – . Questa dovrebbe essere la mia famiglia? No grazie, preferisco non farne parte!!!” Per poi proseguire: “Smettila di fare minacce che tanto lo sai che non mi fai paura, anzi mi fai incazzare di più …Ti avverto che sto preparando due dossier, che se continui a rompere le palle, mi riservo di mandare agli ordini competenti … poi si che son cazzi vostri”. Pronta la risposta del padre, che gli investigatori ritengono contiguo alla potente cosca Piromalli: “Puoi mandare qualunque dossier in Italia che io non ho paura, perché la giustizia sa già tutti i miei giri di proprietà e di società che sono tutti miei prestanome, e questo l’ho comunicato tempo fa anche al Dott. Scolastico, della Dda di Genova”. Immediata la risposta dello stesso procuratore: “Mai incontrato Fameli, quando ero a Savona lo indagai per due volte per truffa facendolo condannare e chiedendo per lui l’ applicazione delle misure antimafia. Se lui si è proposto come confidente è questione che riguarda la polizia giudiziaria”.

Ma questo non è l’unico passaggio in cui compare il nome dell’ex procuratore capo di Savona, che ha fermamente rigettato qualsiasi commistione: “L’altro giorno è arrivato uno della Dia – racconta Fameli al telefono – m’ha detto me manda il Procuratore Scolastico, vorrei sapere quella persone dove abita, io ho detto dove abita, io sto collaborando e il casinò (la sala giochi posta al pian terreno della Villa Fameli, sull’Aurelia, ndr) non vien toccato per niente! … A me Scolastico m’ha detto … in qualsiasi situazione che ti trovi fai il mio nome … Chiunque che sia chiama me!”.

Se di millanterie si tratta, però, il Fameli le ha condivise con parecchie persone, fino a delineare un suo ruolo di informatore della procura. “Se questo va dire che è il suo prestanome – obietta un giorno l’avvocato di Fameli, Claudia Marsala – non è mica una bella cosa commendatore”. “Lo sanno già tutti avvocato – risponde lui al solito – tutti lo sanno, lo sanno i carabinieri, la polizia, tutti … Scolastico … tutti … tutti lo sanno che è un mio prestanome.

L’avvocato Claudia Marsala è la moglie del luogotenente dei carabinieri Pier Luigi Stendardo, che compare più volte nell’inchiesta, pur non essendo indagato. Di lui parla la segretaria di Antonio Fameli, Maria Antonietta Barile: “Fameli faceva l’informatore di Stendardo – dichiara – in relazione a eventuali reati di cui lui veniva a conoscenza, ad esempio qualche reato commesso da qualche straniero cui lui aveva affittato un appartamento”. In cambio si poteva ricorrere a lui in caso di movimenti strani: “Ricordo di aver visto un’autovettura, che si era fermata di fronte al locale e mi sembrava facesse delle foto, auto che ho poi visto ripassare. Chiamai allora Stendardo dandogli il numero di targa. Fameli mi aveva detto che Stendardo era uno della squadra mobile di Savona, (in realtà in forza al nucleo investigativo carabinieri) che era il marito dell’avvocato Claudia Marsala e che se avessi mai visto qualcosa di strano o preoccupante, avrei dovuto chiamare Stendardo”.

Il ruolo di informatore della Procura non sarebbe una novità per l’imprenditore di Loano, stando alle dichiarazioni del ex comandante dei carabinieri Michele Riccio (e cognato dell’avvocato Marsala), condannato in via definitiva a quattro anni e mezzo per aver favorito i suoi confidenti. Nel processo che nel corso degli anni ’80 lo vedeva imputato per omicidio, Riccio, insieme con altri funzionari della procura di Savona, testimoniò che Fameli non solo non apparteneva alla ‘ndrangheta, ma che era stato di grande aiuto nelle indagini. Di sicuro aiutando le forze dell’ordine a catturare alcuni ‘ndranghetisti latitanti che si nascondevano fra il Ponente Ligure e la costa Azzurra. Fra questi Pino Scriva, che poi divenne il suo principale accusatore.

Scrive il gip Donatello Aschero nell’ordinanza di arresto che Fameli “ama da sempre tenere contatti con i magistrati, carabinieri, esponenti delle forze dell’ordine, vantandosi di ciò apertamente e ritenendo che questa sua condotta lo renda immune da conseguenze penali” e “con riferimento all’inquinamento probatorio , si muove invece su una linea molto più pericolosa e ambigua, contattando continuamente appartenenti all’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e tentando ripetutamente … contatti e il coinvolgimento del procuratore aggiunto di Genova”.

Scolastico non è nuovo alle polemiche. Specialmente a quelle sollevate dalla Casa della Legalità, che pochi mesi fa ha presentato un esposto alla procura di Torino contro di lui, perché secondo l’associazione aveva divulgato informazioni ancora coperte dal segreto investigativo, nella relazione presentata alla Commissione parlamentare antimafia in visita a Genova. Il riferimento è alle notizie che il giorno dopo tutti i giornali locali scrivevano a proposito di Carmelo Gullace, altro personaggio che le relazioni antimafia da anni indicano come elemento di spicco della cosca Raso-Gullace- Albanese, pur senza essere mai stato condannato in via definitiva. In quella relazione, “riservata” ma non “segretata”, dopo aver sommariamente elencato tutti i principali procedimenti, il procuratore capo esaminava in maniera dettagliata le indagini su Gullace, con riferimenti ai vertici organizzativi della cosca, a politici calabresi coinvolti e a una finanziaria lecchese.

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