“La dieta mediterranea, ossia la dieta più celebrata al mondo, e universalmente riconosciuta come il regime ottimale per favorire la salute, nessuno sa cosa sia. Tantomeno nel nostro paese, dato che è praticata appena dal 10% degli italiani”. Così afferma il Prof Antonino De Lorenzo, uno dei più importanti studiosi di nutrizione e di dieta mediterranea, direttore della scuola di specializzazione in Scienza dell’Alimentazione all’università di Roma Tor Vergata.

Prof.De Lorenzo, si pensa comunemente che la dieta mediterranea, proclamata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO poco più di un anno fa, sia la dieta simbolo di noi italiani. Lei che dice?
Occorre chiarire il concetto di dieta mediterranea, di cui si abusa da anni. La Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento è la dieta moderata comunemente seguita dalle classi lavoratrici dei territori mediterranei intorno alla metà del secolo scorso: basata su cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, prodotti della pesca e olio vergine di oliva come alimenti prevalenti. E, per le bevande alcoliche, vino. Il tutto associato ad una soddisfacente attività fisica. Questa dieta è il punto di arrivo di una tradizione ininterrotta di abitudini alimentari già presenti nell’Italia antica presso greci, romani e popolazioni italiche.

Ossia quella che fu studiata prima da Keys, specie a Nicotera in Calabria alla fine degli anni Cinquanta, poi da Fidanza e poi da lei dal 1990 al 2010?
Esattamente.

Cosa è cambiato dagli anni Cinquanta ad oggi?
Si è avuto un graduale abbandono della dieta mediterranea a favore di stili alimentari meno salutari. E ciò, nonostante i risultati degli studi indichino che lo stile alimentare cui tendere per una vita sana e lunga sia quello della Dieta Mediterranea. Questa, per la maggior parte degli italiani, non è più la dieta di riferimento, a parte il fatto che si assumono più calorie e se ne consumano di meno. Siamo a circa 400 kcal al giorno in più di quanto è raccomandabile. È aumentato il consumo di grassi, carni e dolci. Sono invece diminuiti i consumi di cereali minori, di riso e legumi secchi, di alcuni ortaggi. È in costante ascesa il consumo di agrumi e frutta, soprattutto importati. Così è in forte e costante crescita il consumo di birra, di superalcolici e di bevande zuccherate.

E questo cosa comporta?
Ad esempio un incremento delle malattie croniche legate alla dieta, specie nelle popolazioni meno abbienti e più esposte: come in Sud Italia. Il passaggio dalla società agro-famigliare a quella industriale ha modificato il nostro stile di vita, con un forte impatto sul comportamento nutrizionale e sulla spesa energetica. L’esistenza di una relazione tra alimentazione, stato di salute e patologie cronico-degenerative è ormai riconosciuta da tempo. Nelle diverse macroaree geografiche mondiali, le malattie cronico-degenerative sono in costante e progressivo aumento, fenomeno spiegabile sia con l’invecchiamento della popolazione sia con i profondi cambiamenti nei modelli alimentari e comportamentali che hanno caratterizzato il nostro paese negli ultimi 10 anni. Fra le patologie cronico-degenerative, le malattie cardiovascolari continuano a gravare nelle statistiche di mortalità rappresentando le principali cause di morte. In Italia causano circa il 40% dei decessi (60% circa nel mondo). Tra i fattori di rischio modificabili, spesso non menzionati, hanno un ruolo determinante la dieta e l’attività fisica, che insieme rappresentano il principale determinante modificabile delle malattie croniche, in grado di influenzare lo stato di salute a qualsiasi età e i principali fattori di rischio noti.

Ma come si può tornare a mangiare come i nostri nonni?
La riproposizione di un modello alimentare salutare come la Dieta Mediterranea ricalca quello del modello maggiormente salutare, ponendo maggiore attenzione alla “qualità” che alla “quantità”. Nutrire per prevenire può essere considerato lo slogan del Terzo Millennio che sintetizza le azioni a cui la Sanità Pubblica deve tendere per far si che la salute non sia dei ricchi e la sanità sia dei poveri.

Dato che il sistema sanitario nazionale non è lontano dal collasso, perché non abbiamo una adeguata politica alimentare?
Siamo ancora ai prodromi di una politica alimentare. Esistono analisi conoscitive, ma non un piano di intervento intersettoriale credibile ed efficace. Che potrebbe garantire il diritto alla salute, diritto fondamentale dell’individuo, tenuto conto che la prevenzione esclusivamente sanitaria non è sufficiente a fronteggiare il continuo aumento delle malattie non trasmissibili.

Non c’è un istituzione di riferimento a cui affidarsi?
Ci sono molte istituzioni ma manca un reale coordinamento credibile ed efficace nell’orientare il consumatore consapevole. Consideri che l’adesione alle linee guida è stimata intorno al 3% della popolazione. È stato elaborato un Indice di Adeguatezza Mediterrana (I.A.M.), per valutare quanto una dieta liberamente scelta si avvicini ad una dieta mediterranea presa come riferimento. Ma manca una posizione ufficiale ed un comitato scientifico indipendente che possa rispondere ai quesiti posti dai consumatori e che troverebbe in una struttura di coordinamento un ruolo importante in termini di credibilità e di adesione alle scelte salutari. A tal proposito nel 2005 abbiamo fondato, insieme al Prof.Fidanza, l’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica (INDIM), che tra le varie azioni sta cercando di creare un raccordo tra tutti gli Enti di ricerca che operano nel settore.

Ma non c’è l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN)?
Sarebbe meglio chiuderlo all’istante e destinare i fondi a un’adozione generalizzata della Dieta Mediterranea basata su prodotti biologici, la cosiddetta IMOD. Essa permetterebbe di salvaguardare non solo la salute umana, ma di tutelare anche l’ambiente, in virtù dei minori consumi energetici, del minore impatto potenziale sul riscaldamento globale e del miglioramento della qualità dell’ambiente stesso. Studi recenti dimostrano che, a parità di consumo calorico, la differenza tra la dieta nordamericana (consumo prevalente di carne e dolci) e la Dieta Mediterranea è del 80.6% in termini di Carbon Footprint (emissioni di diossido di carbonio CO2 e altri gas serra, GHG) ed è del 57.9% in termini di consumo di terra Ecological Footprint (area biologicamente produttiva, di mare e terra, necessaria per produrre le risorse consumate dall’uomo e per assorbire i rifiuti che genera). Analisi economiche, a supporto delle pianificazioni sanitarie, politiche ed economiche, dimostrano che, tra gli interventi nutrizionali, la Dieta Mediterranea Biologica, insieme al cambiamento dello stile di vita (TLC), assomma il miglior rapporto costi-benefici.

Insiste sui prodotti biologici, ha cui ha dedicato un profonda ricerca, è vero che fanno aumentare i costi delle famiglie come spesso si sente dire?
No. Una dieta a bassa densità calorica, fondata su legumi e cereali, frutta e verdura, ortaggi ed erbe selvatiche, permette una riduzione dei costi della spesa alimentare giornaliera, determinando una migliore distribuzione della budget monetario tra i diversi gruppi alimentari.

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