L’angolo che ancora oggi i passanti intravedono pieno di fori di proiettile sul muro, è quello tra via Irnerio e via Mascarella a Bologna. Lì, trentacinque anni fa, nella mattina dell’11 marzo si consumò la tragedia e si compì il destino del Movimento del ’77 bolognese.

Sul selciato di via Mascarella il corpo di Francesco Lorusso, studente di medicina, nonché militante di Lotta Continua, colpito da un proiettile che gli aveva trapassato il petto. In piedi, pochi metri più in là, sullo stradone che collega i viali al centro città, il carabiniere di leva Massimo Tramontani che poco prima aveva esploso sei colpi di pistola verso la strada laterale dove si trovavano Lorusso e uno sparuto gruppo di suoi compagni. I giudici diranno che il clima in città era “di sommossa e guerriglia” e che l’uso dell’arma per Tramontani (un attimo prima a far esplodere dodici colpi di fucile winchester in piena via Irnerio, n.d.r.), rientrava nei parametri normativi della legge Reale.

Per l’agente significò proscioglimento, ma dalla morte di Lorusso in poi per il Movimento del ’77, nato pochi mesi prima nelle aule universitarie e tra gli operai di molte fabbriche cittadine,  iniziarono 35 anni di dolore e fu subito, e per davvero, guerriglia. Ai lacrimogeni e alle molotov si sostituirono blindati dell’esercito e barricate. Bologna come Santiago del Cile pochi anni prima. Le foto del 13 marzo 1977 parlano chiaro: centro città sotto assedio, mezzi dell’esercito con i cingoli sul porfido, idranti che lavano piazza Verdi, vetri infranti, serrande abbassate, il carrello di bollito del ristorante “al Cantunzein” lasciato lì in mezzo alla strada.

Tra le macerie urbane si consuma l’utopia rivoluzionaria bolognese per un cambiamento politico e sociale, artistico e di linguaggio, dell’esistente: Radio Alice spenta con la forza dalla polizia, Dada Dams e collettivo Jacquerie senza più espropri proletari e una frattura tra movimenti di estrema sinistra e Partito Comunista insanabile ancora oggi.

“C’era del buono anche lì”, afferma l’assessore alla cultura di Bologna, Alberto Ronchi, che domenica 11 marzo alle 10 in via Mascarella presenzierà a nome del Comune alla commemorazione dei 35 anni dalla morte di Lorusso, “Il bisogno di riformismo arriva anche dalla sinistra della sinistra. Molte istanze nei contenuti possono arrivare anche da chi fa politica antagonista”.

Ma il Partito Comunista Italiano di allora, sindaco di Bologna era Zangheri, pareva più attento a non urtare il fragile equilibrio del compromesso storico in atto con la Democrazia Cristiana a Roma, che ad ascoltare gli slogan del Movimento: “Per il Pci non poteva essere quello l’assillo, cioè di avere un antagonista a sinistra: anche se invece lo fu. Gli episodi di quei mesi, e che continuano ad esserci oggi, dimostrano come nel nostro paese non siamo stati capaci di costruire una democrazia compiuta e rappresentativa in senso europeo, e di dare un senso all’idea di “partito”. Esempio ottimale è proprio quello di essere finiti a farsi governare da un esecutivo di tecnici”.

“Non ci sono continuità o paragoni tra  il Movimento del ’77 e i movimenti di oggi come i No Tav, perché tutti i movimenti hanno la loro originalità politica”, chiosa Ronchi, “Posso non condividere i modi con cui certe istanze vengono presentate anche in questi giorni, ma riconosco come questi movimenti riescano ad affrontare con urgenza e schiettezza le contraddizioni critiche del nostro tempo. Un esempio su tutti: gli effetti  interni ai singoli paesi dei processi della globalizzazione economica”.

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