Facciamo riferimento alla musica del 2012 oppure proseguiamo rivolgendo lo sguardo al passato? Si preferisce rincorrere il mito o meglio fermarsi e riprendere fiato?

Dal punto di vista musicale far fronte al periodo in cui viviamo è certamente difficile: i luoghi comuni (ammesso che lo siano), dominano le nostre incertezze. “La musica è morta alla fine degli anni 70!” qualcuno afferma. Vero o falso che sia, il passato rappresenta indubbiamente un rifugio sicuro ma uscire allo scoperto, per scrutare l’orizzonte, può regalare improvvise soddisfazioni.

Pare già di sentire i soliti cori a difesa del “tempo che fu”. I nati negli anni 50, posti in prima fila, rivendicano l’opera omnia dei Beatles e dei Rolling Stones. I sessantottini, ancor più rapidi, invocano il Flower Power, per non parlare di quelli cresciuti a pane e anni 80: non vedono l’ora di cotonarsi i capelli, nella speranza che un giorno Robert Smith possa tornare ad illuminare la strada. Poveri illusi! Per gettarli nell’inesorabilità dello sconforto è bastato un pugno di pischelli, maturati al suono corposo degli anni 90, i quali a detta loro, sono ingiustamente sottovalutati: “Perché Nirvana Massive Attack e Oasisconcludono – a quei tempi non pettinavano certo le bambole”!

E ai giorni nostri? Cosa combinano le nuove generazioni? Quali sarebbero i loro ascolti? Ammesso che vi siano, dovrebbero essere supportati da un corso accelerato sulle dinamiche che storicamente regolano la musica, la quale si sostiene comprandola e non scaricandola, rinnovando in tal modo tradizione, cultura e speranze. Dite che mancano i soldi? Quelli della mia generazione a diciotto anni, per accaparrarsi il disco nuovo dei Bauhaus, erano disposti a tutto, anche a fare la fame.

Tornando al presente musicale, è l’onestà d’intenti il focolaio al quale attingere e non la ricerca forsennata del futuro. In tempi come questi può essere sufficiente anche e solo individuare lo spirito rinnovato di un grande artista, il quale, se ben indirizzato, può sempre fare la differenza. È il caso di Mark Lanegan. Un ritorno che agita i territori sconfinati dell’inquietudine e restituisce alle nostre incertezze la giusta dignità. Blues Funeral funziona almeno quanto un lifting facciale: via i segni del tempo (gli esordi), fuori le ruvidità (Screaming Trees), soppresse pure le negligenze passate (dischi solisti). Il lavoro che ne consegue esalta l’opera di un rocker in stato di grazia. Compratelo (e non scaricatelo), ne vale la pena.

Conoscete le First Aid Kit? Le due sorelline svedesi arrivate alla terza fatica discografica, sono capaci di rispolverare la miglior tradizione cantautorale americana, decifrandone i dogmi con cognizione di causa. The Lion’s Roar è il frutto di un’integrità artistica che, seppur derivativa, lascia senza fiato. Provare per credere.

In Italia invece che succede? Nell’attesa di ascoltare Padania (se è bello come il titolo “siamo a posto”) degli Afterhours, è la casualità a governare gli ascolti. La rotta intrapresa porta in Abruzzo, più precisamente a Pescara, Antonio Vitale in arte Jester at Work ha dato vita a Magellano, un album che illumina a giorno il fantasmagorico sottobosco musicale. L’analogico flirta con l’elettronica misurata mentre i toni virati delle chitarre evidenziano una voce da brividi. Difficile fare meglio.

Dunque, in attesa che la nuova frontiera della musica si riveli, il solito dj qualunque, a sostegno della propria tesi ha trovato soltanto tre dischi su nove, e preoccupandosi, si chiede come farà a trovare i restanti sei prima che il passato torni prepotente a bussare alla sua porta.

9 canzoni 9 … per (non) dimenticare il passato

Lato A

This Night Will Be Death • Jester At Work

In the Hearts of Men • Firs Aid Kit

No Future, No Past • Cloud Nothings

Another Bad • The Twilight Sad

Lato B

Queen of Denmark • Sinead  O’Connor

Ode to Sad Disco • Mark Lanegan

Show me Everything • Tindersticks

I Spit Roses • Peter Murphy

Show Me the Place • Leonard Cohen

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