Le donne guadagnano meno degli uomini in tutta Europa. Secondo stime della Commissione europea, in media si parla del 16,4% in meno, con punte addirittura del 27% in Estonia. Secondo Bruxelles la situazione in Italia sarebbe “piuttosto rosea”, con una differenza di retribuzione solo del 5,5%. La cifra, però, è viziata dal fatto che in Italia la proporzione delle donne nel mondo del lavoro è nettamente inferiore che in altri Paesi, dove magari guadagnano di meno, ma almeno riescono a lavorare.

Si chiama “gender pay gap”, e secondo la definizione ufficiale Ocse sta per la differenza in percentuale nella retribuzione oraria tra uomini e donne. Una forbice che continua ad essere larga in tutta Europa, stando ai dati pubblicati da Bruxelles in occasione della Giornata per la parità retributiva. Gli ultimi dati del 2010 indicano un divario retributivo medio nell’Ue del 16,4% e, pur confermando una leggera tendenza al ribasso rispetto al 17% circa degli anni precedenti, vede ancora punte imbarazzanti del 27% in Estonia, 25,5% in Austria e Repubblica Ceca e del 23% in Germania. All’altro capo della classifica troviamo il 2% della Polonia, il 4,5% della Slovenia e il 5,5% dell’Italia. Ma attenzione, come sempre le cifre vanno lette nel modo giusto.

“L’italia ha un basso pay gap, ma ci troviamo di fronte anche alla più bassa proporzione di donne che lavorano”, spiega a ilfatto.it Matthew Newman, portavoce della Commissaria europea per la Giustizia Viviane Reding. “Molte donne o non entrano affatto nel mondo del lavoro oppure ne escono presto. Tuttavia lo stipendio delle donne che lavorano si avvicina generalmente a quello degli uomini. Ecco che come risultato il pay gap in Italia non è troppo elevato”.

Insomma il 5,5% stimato dalla Commissione suonava davvero troppo strano. “In Italia ci troviamo di fronte a differenze retributive molto alte, soprattutto perché nel nostro Paese le lavoratrici si trovano a combattere con un welfare bloccato nei servizi e non adeguato alla vita di donna”, ci spiega Rosanna Rosi, responsabile nazionale Cgil per le politiche di genere. “Nonostante le molte leggi, ad oggi il peso del lavoro di cura della famiglia è tutto a carico della donna, dai bambini agli anziani”.

Secondo uno studio del Consiglio nazionale economia e lavoro (Cncl) aggiornato allo scorso ottobre, a parità di qualifica e impiego, la differenza di retribuzione tra uomini e donne in Italia si attesta tra il 10 e il 18% ed è dovuta interamente a fenomeni di discriminazione. Il gap retributivo per le lavoratrici dipendenti risulta particolarmente elevato in alcuni ambiti: tra le donne meno scolarizzate raggiunge quasi il 20% e si mantiene oltre il 15% per chi possiede la licenza media. Ne soffrono sia le giovanissime (8,3% di penalizzazione rispetto ai coetanei) che le lavoratrici adulte (12,1%), mentre è più contenuto nella fascia di età compresa tra 30 e 39 anni (3,2%). In termini settoriali, si registra una forte differenza nelle retribuzioni medie orarie di uomini e donne impiegati nei servizi finanziari e quelli alle imprese (rispettivamente 22,4% e 26,1%), nell’Istruzione e nella Sanità (21,6%), nella manifattura (18,4%).

“La giornata europea per la parità retributiva ci ricorda il numero di giorni e di ore di lavoro femminile “non remunerato” trascorsi dal 1° gennaio. Il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro esiste nei trattati dell’Unione fin dal 1957 e sarebbe ora di farlo valere ovunque”, ha detto la Commissaria Reding con una certa impazienza. Si perché, stime alla mano, è come se le donne dovessero lavorare fino al 2 marzo per guadagnare quello che gli uomini hanno guadagnato nel 2011. Va poi precisato che meno retribuzioni vuol dire meno pensioni e maggior rischio di povertà, una minaccia concreta per il 22% di donne oltre i 65 anni, contro il 16% degli uomini.

“L’Unione europea ha l’obbligo morale di un impegno serio per colmare il divario di retribuzione tra donne e uomini”, chiede dall’Europarlamento Sonia Alfano (IdV). “É inaccettabile che nel 2012 le donne guadagnino 86 euro ogni 100 euro guadagnati da un uomo. Solo perseguendo risultati concreti in quest’ambito, solo combattendo questa battaglia di civiltà, potremo avviarci verso una reale parità di genere, tanto auspicata ma ben lungi dall’essere reale”.

Articolo Precedente

Donne nei cda, Ue: “Sottopagate e senza prospettive di carriera”

next
Articolo Successivo

“Sindaca” e “assessora”, in Veneto il femminile è imposto per decreto

next