Si intitola “Né uomini né ragazzi” il quarto disco della band genovese En Roco che ha visto la luce quattro anni dopo il precedente “Spigoli” prodotto anche questo dalla Fosbury Records. Un album caratterizzato – e lo si nota fin dal primo ascolto – da un inedito minimalismo pop che fa dell’essenzialità e della ricerca il fondamento di un progetto traboccante di potenzialità, ma non ancora completamente espresse. Il disco si apre con questa frase: “Datevi un significato divertitevi per poi sentirne il giusto peso in assenza di… datevi motivazioni…”. Danno voce a una gioventù precaria gli En Roco, senza però avventurarsi nel tortuoso campo politico o ideologico, ma il malessere tipico dei “giovani” c’è e si sente. L’invito rivolto nella prima frase dell’album vale anche per loro: siamo certi, una volta trovata la propria strada, avranno le condizioni necessarie per una crescita artistica e personale garantita. “Né uomini né ragazzi” è un album in cui gli En Roco, dotati di un’abile scrittura, raccontano storie anche personali catturando e seducendo chi li ascolta, superando brillantemente la prova consistente in un’opera di combinazione “felice” di interno ed esterno, di intimo e formale. La formazione vede Enrico Bosio alla voce e chitarre, Rocco Spigno al basso e pianoforte, Francesco Conelli alla voce e chitarre e Roberto Vinci alla batteria. Il nome con cui la band si è battezzata “deriva da un antico soprannome d’infanzia di uno di noi – ci racconta Enrico Bosio voce della band che abbiamo intervistato per saperne di più su di loro – , ma ha ormai perso il suo significato originario a beneficio di uno più trasversale e che coinvolga tutti. Questo ci è stato suggerito da nostri amici argentini. Sono stati loro a spiegarci il significato del termine spagnolo enrocar (“arroccare”) termine scacchistico (gli scacchi: pratica cerebrale almeno quanto noi). L’intento è quello di superare l’avversario, nel nostro caso noi stessi. C’è una sola possibilità di effettuare questa mossa in tutta la partita. Ogni lasciato è perso dunque. Il senso dell’unicità ci persuade molto”.

Una volta inserito il vostro “Né uomini né ragazzi” nello stereo, su cosa pensi rifletteranno gli ascoltatori?
Diceva bene Rocco il nostro bassista: questo disco non è partito dall’idea ambiziosa del concept, ma è finito per diventarlo. Se dunque è un disco guidato da una sottile linea questa sarebbe bianca come la normalità. Di essa in questo mondo ce n’è bisogno. Non è facile però trovarla, nonostante la si desideri. Penso che chi ascolta potrebbe riflettere sui propri desideri. Essere rivolti al proprio passato non è un bene per nessuno, ancorché tante volte risulti inevitabile.

Quale credete sia il vostro pregio? Quali sono le vostre ambizioni?
Il nostro pregio è fare ancora canzoni, dove l’ascolto è semplice, nonostante parti travagliati e sottili complessità sullo sfondo. La fluidità deve governare. L’ascolto è tutelato senza prepotenza e angherie. Le nostre ambizioni sono sempre più speranze dopo quasi 12 anni di musica insieme. Il nostro massimo auspicio è arrivare a un numero elevato di persone, dove ‘arrivare’ significa entrare nella sfera emotiva di chi ci ascolta.

Quanto tempo dedicate alla musica nelle vostre giornate?
Quanto il lavoro ce lo consente. Nel cervello, però, le note continuano a viaggiare libere in ogni momento.

Hai seguito il Festival di SanRemo? Cosa ne pensi della vittoria di Emma? Credi che insieme con i reality possa essere per voi un buon trampolino di lancio?
Fondamentalmente i contest televisivi, specie quelli degli ultimi tempi, non credo abbiano influenzato la musica. Credo che sia una buona invenzione per le grandi produzioni al fine di non incorrere in flop straordinari. Io personalmente non ho seguito Sanremo. Qualcosa però è inevitabilmente giunto alle mie orecchie non senza qualche piccolo fastidio. Emma che ha trionfato al Festival è sicuramente una ragazza che canta bene e che crede in ciò che le viene proposto di fare. Nuovamente però, da quanto ho capito, ha vinto un brano con una retorica da quinta elementare a sfondo sociale: uno dei due tipi di brani che si possono portare a Sanremo. L’altro è la canzone d’amore. Credo che se ci si presentasse l’occasione parteciperemmo a una manifestazione come quella, quantomeno per rinfrescare un poco quell’aria imbalsamata che si respira. Senz’altro dà molta visibilità. Una canzone però non basta a se stessa.

Quanto credete conti il look?
Dal mio punto di vista non conta nulla. Rispondo che francamente l’abito non fa il monaco. Non ci piace far carnevalate, ma essere uguali identici a noi. Dopo di che avere cura di se stessi è cosa saggia, ma sto parlando del corpo, non dei vestiti o della pettinatura.

Che rapporto avete con la tecnologia? E internet?
Già da qualche anno abbiamo imparato ad apprezzarne le potenzialità. Io personalmente inizialmente tendevo a rifiutare le possibilità che mi venivano offerte. Oggi è più facile comunicare, ma è eccessiva la quantità delle informazioni.

C’è un disco che vi ha segnato artisticamente?
Parlo per me: Either/or di Elliott Smith. È il primo che mi è venuto in mente. Ce ne sarebbero tantissimi da citare.

Come state promuovendo il vostro disco?
Per il momento attraverso quanto di buono (tanto) è uscito e uscirà dalle tastiere di chi si occupa di musica. Indiemeno si occuperà di portarci in giro per monti e mari, il più a largo possibile.

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