Spezzeremo le reni al colonnello. Per la prima volta un intero Consiglio regionale si riunirà per approvare un documento di condanna contro un ufficiale dell’Arma dei carabinieri. Accadrà oggi in Calabria per volere di Giuseppe Scopelliti, governatore e padre padrone del Pdl. Nel mirino degli attacchi e di un “dossier” che lo stesso Scopelliti presenterà al Consiglio, il colonnello Valerio Giardina, per anni comandante del Ros della città dello Stretto. Si tratta dell’uomo che ha catturato il superlatitante Pasquale Condello, che da queste parti chiamavano non a caso il “Supremo”, tra i più temuti capi della ‘ ndrangheta. Di mafiosi che latitano da anni indisturbati nelle loro case di Reggio e negli anfratti dei paesi della Calabria, il colonnello ne arresta 16 prima di mettere le manette a un altro big-boss, Peppe Morabito, capo della mafia di Africo.

Tanti successi, sempre accompagnati dagli applausi e dai comunicati di apprezzamento “prestampati” dei politici calabresi. Ma è quando il colonnello mette le mani sul verminaio reggino dei rapporti tra politica e mafia, quando parla delle relazioni pericolose di Giuseppe Scopelliti, che cominciano i suoi guai. L’inchiesta, coordinata dal pm Giuseppe Lombardo, si chiama “Meta”. Mille pagine che raccontano la pax mafiosa a Reggio e soprattutto i rapporti mafia, massoneria, comitati d’affari e politica. Un lavoro straordinario che porta ad arresti e a un processo che venerdì ha vissuto la sua udienza clou. Giardina risponde alle domande del pm Giuseppe Lombardo e del presidente Silvana Grasso. Ricostruisce le fasi dell’inchiesta e il nuovo “modello Reggio” costruito dopo l’accordo tra le maggiori famiglie di mafia. La città, dice Giardina, è governata da una lobby “affaristico-massonica in cui ci sono i vertici delle cosche e della politica”. Giuseppe Scopelliti e suo fratello Consolato, detto Tino, ne farebbero parte a pieno titolo. “Abbiamo documentato – prosegue il colonnello – i rapporti di Scopelliti con i vertici delle cosche di Villa San Giovanni e Reggio Calabria”. Rapporti che spiegano la partecipazione di Scopelliti, allora sindaco della città, al pranzo per i cinquant’anni di matrimonio dei genitori dei fratelli Barbieri il 15 ottobre 2006.

I carabinieri filmano l’auto di scorta del sindaco che entra in un ristorante di Villa e Scopelliti che brinda. Poi intercettano Cosimo Alvaro, figlio di Domenico, re della ‘ ndrangheta di Sinopoli e pezzo da novanta della mafia calabrese, vantarsi della presenza del sindaco e dei politici. “La presenza di Scopelliti – dice nell’udienza Giardina – ci ha sconcertati e ha creato allarme”. Nell’inchiesta “Meta” c’è una intercettazione tra gli imprenditori Barbieri e Franco Labate, che documenta l’attivismo del fratello del sindaco nella spartizione degli appalti comunali. Perché “i soldi – dice Barbieri – se li sta prendendo il fratello del sindaco, quello che si è riempito la mazzetta, quello che si è preso la pila”. I registi della lobby, secondo Giardina, sarebbero l’avvocato Giorgio De Stefano e Paolo Romeo. Il primo è il cugino di Paolo De Stefano, il big-boss della ‘ ndrangheta reggina ucciso nella prima guerra di mafia, il secondo è un ex deputato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Le dichiarazioni del colonnello hanno scatenato un fuoco di fila da parte del centrodestra calabrese e nazionale. Ha iniziato il governatore Scopelliti: “Il colonnello Giardina ha dimostrato di non essere un uomo delle istituzioni, nelle sue esternazioni sembra un rappresentante dell’opposizione politica”. Maurizio Gasparri minaccia: “Agiremo ai massimi livelli per capire se c’è una cabina di regia che alimenta una stagione di veleni contro Scopelliti”. Anche Angelino Alfano esprime la sua solidarietà, ma è il senatore Antonio Gentile, membro della Commissione antimafia, il più feroce. Chiede ai vertici del Pdl di organizzare una manifestazione nazionale a favore di Scopelliti, “che rischia di essere dilaniato dall’opinione pubblica”. Una ingiustizia, perché “con Scopelliti abbiamo costruito liste immacolate, pulite”. Ha la memoria corta, il senatore, e dimentica i due consiglieri regionali della maggioranza arrestati per mafia e un terzo finito nei guai per corruzione elettorale. Per questi fatti gravissimi nessuno ha pensato mai di riunire la massima assemblea regionale. Guai a chi indaga sui rapporti tra mafia e politica, carabinieri e pm vanno applauditi certo, ma solo quando ammanettano boss e picciotti dell’ala militare della ‘ ndrangheta. Al pm Lombardo, che indaga sulla politica, il 4 settembre scorso arriva un “caloroso consiglio” da parte di un avvocato. “Dottore lei sta dando fastidio, stia attento e quando fa una inchiesta si faccia affiancare da un suo collega”. Un mese dopo viene fatto trovare un pacco bomba sotto l’auto del magistrato. C’è anche un biglietto: “È tutto pronto per la festa”.

da Il Fatto quotidiano del 22 febbraio 2012

Articolo modificato dalla redazione web il 23 febbraio 2012 alle ore 08.24

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