Nell’ennesimo venerdì di preghiere e proteste, per la Siria si riparte dal testo della risoluzione approvata nella notte dall‘Assemblea generale delle Nazioni unite, con 137 sì, 12 no e 17 astenuti. Il testo, sostenuto dalla Lega Araba, chiede tra le altre cose le dimissioni del presidente Bashar Assad e ricalca sostanzialmente il testo della risoluzione bloccata tre settimane fa dal doppio veto della Russia e della Cina nel Consiglio di sicurezza.

Mosca e Pechino, coerentemente, hanno di nuovo votato contro il provvedimento, che comunque non ha un valore vincolante né una forza esecutiva, come sarebbe stata una risoluzione approvata nel Consiglio, ma è senz’altro un ulteriore segnale dell’isolamento internazionale del regime di Damasco. Oltre al voto contrario di Russia e Cina, gli altri quindici no sono arrivati, tra gli altri, da Cuba, Corea del nord, Iran e Venezuela, il cui ambasciatore all’Onu ha detto che la risoluzione “nega la sovranità siriana e rischia di essere usata da alcuni per promuovere una guerra civile su larga scala”.

Molto simili le parole dell’ambasciatore siriano Bashar Jafaari, secondo il quale la posizione dell’Onu non farà che “incoraggiare estremisti e terroristi”. Il vice ambasciatore russo Ghennady Gadilov, invece, ha spiegato il suo “niet” con la motivazione che “ancora una volta, la risoluzione è sbilanciata, chiede tutto al governo e non dice nulla alle opposizioni”. Di tutt’altro tenore le dichiarazioni dell’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice: “Il testo approvato stasera – ha detto – Manda un chiaro messaggio al popolo siriano: il mondo è con voi”.

La diplomazia internazionale si muove comunque anche fuori dal Palazzo di vetro. A Damasco oggi è atteso il vice ministro degli esteri cinese Zhai Jun, in una missione per cercare “una soluzione pacifica e appropriata”. Lo stesso vice ministro in una intervista pubblicata sul sito web ufficiale del ministero ha condannato le violenze contro i civili e ha chiesto al governo di rispettare il “legittimo” desiderio popolare di riforme, ma nello stesso tempo ha criticato “le sanzioni e la minaccia di sanzioni” che non sono “efficaci per una soluzione”. Il vice ministro Zhai la scorsa settimana aveva ricevuto a Pechino una delegazione delle opposizioni siriane, in quello che è stato il primo incontro ufficiale di questo tipo. La Cina, insomma, sembra stia lentamente modificando l’atteggiamento verso Damasco, anche con un maggior coinvolgimento della propria diplomazia finora rimasta relativamente in secondo piano.

Intanto, dalla Siria continuano ad arrivare notizie di azioni di forza da parte dell’esercito, che stringe d’assedio la città di Homs ormai da quasi due settimane. Ieri, però, le operazioni si sono concentrate contro un altro “obiettivo”, Deraa, nel sud del paese, dove secondo i gruppi di opposizione, le forze militari hanno condotto un duro attacco. Stando a quanto dice l‘Osservatorio siriano per i diritti umani, ong dell’opposizione con base a Londra, in un villaggio della provincia di Deraa, Sahm al-Julan, non lontano dal confine con la Giordania, le forze di sicurezza avrebbero rastrellato tutti gli abitanti e li avrebbero caricati su camion con destinazione ignota. Combattimenti sono stati segnalati anche nell’est del paese, verso il confine iracheno – forse su una delle rotte del traffico di armi che alimenta la resistenza armata contro il regime – e nella zona di Kfar Nabuda, nella provincia di Hama.

Proseguono anche gli arresti. Secondo Reporters senza frontiere, tra le persone finite nella rete delle forze di sicurezza c’è anche il blogger Razan Ghazzawi, fermato assieme a una decina di persone, tra cui il direttore del Centro siriano per i media e la libertà di espressione, Mazen Darwish. Il suo avvocato Anwar Bunni ha detto ad Al Jazeera che l’arresto è avvenuto giovedì pomeriggio a Damasco, durante un blitz delle forze di sicurezza che hanno fatto irruzione nella sede del Centro, una organizzazione che dal luglio 2011 ha lo status di osservatore nel Consiglio economico e sociale dell’Onu: “Condanniamo questi arresti – ha detto Bunni – E chiediamo alle autorità di rilasciare immediatamente le persone fermate”. Un appello amplificato da Reporters senza frontiere, che esprime la sua preoccupazione “per l’integrità fisica delle persone arrestate” molte delle quali, peraltro, sono già state arrestate e poi rilasciate dai servizi di sicurezza nel corso dell’ultimo anno.

di Joseph Zarlingo

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