A lavorare con l’amianto è meglio metterci gli operai “con più di 40 anni”, così è probabile che muoiano di vecchiaia o altro prima di sviluppare un tumore. Lo scriveva nel lontano 1972 la rivista Medicina del lavoro (Volume 63, n. 5-6, pag. 240). Il consiglio era rivolto a che gestiva i cantieri navali (grandi consumatori di amianto per la coibentazione e l’isolamento antincendio delle navi). Cinismo a parte, il documento dimostra che già quarant’anni fa la comunità scientifica aveva la piena consapevolezza dell’alto rischio tumore (e asbestosi, una malattia simile alla silicosi dei minatori) al quale erano esposte le persone che lavoravano in contatto con le fibre del minerale.

Per la “manifattura, manipolazione, e applicazione dell’amianto”, si legge nell’articolo, “è ovvio che non debbano essere avviati a questo lavoro soggetti molto giovani”, ma “soggetti di età superiore a 40 anni”. Dato che il tempo di latenza delle fibre nei polmoni prima si sviluppare tumori e asbestosi “varia da 20 a 40 anni”, scrivono i ricercatori, “con un tale criterio la possibilità di insorgenza delle malattie da amianto durante la vita (…) è praticamente esclusa”.

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Questo scrivevano gli specialisti in medicina del lavoro nel 1972. L’amianto è stato bandito in Italia ben vent’anni dopo, nel 1992. I morti accertati nel solo processo di Torino contro la Eternit sono 2.191. Una piccola parte della strage silenziosa.

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