Bruno Vespa ha aperto un Porta a Porta, più o meno in coincidenza con il ventennale dell’arresto di Mario Chiesa avvenuto nel febbraio 1992, con una sua intervista in ginocchio a Bettino Craxi in cui ‘ l’esule di Hammamet’, condannato a più di dieci anni di reclusione per corruzione e finanziamento illecito, cantava il solito ‘ leit motiv’: “I processi di Mani Pulite sono stati processi politici”. E in studio il medium Vespa, nel silenzio-assenso di tutti i presenti (ad eccezione di Giovanni Valentini), chiosava: “A vent’anni di distanza bisogna ammettere che Craxi aveva ragione”.

Buon Dio, si sperava che almeno con certe cose fosse davvero finita. E invece no. Il presupposto dello pseudo ragionamento di Craxi e del suo ventriloquo è il solito: le inchieste di Mani Pulite colpirono solo alcuni partiti, risparmiandone altri, quelli di sinistra. A parte il fatto che finché mi sono preso la briga di contarli erano 283 gli amministratori di sinistra inquisiti, non è colpa del Pool di Milano se altre Procure, poniamo quelle di Firenze o di Bologna, erano state più neghittose (sono “le Procure che lavorano sodo e in silenzio” che piacciono tanto a Berlusconi perché non concludono mai niente). In ogni caso la Magistratura accertò senza ombra di dubbio che in Italia non c’era appalto senza tangente politica e che alla spartizione del bottino partecipavano tutti i partiti in proporzione alla loro consistenza, Pci quindi compreso, anzi impegnato in un poco virtuoso testa a testa con Dc e Psi. Che poi il segretario di quel partito, a differenza di Forlani e Craxi, non sia stato condannato è del tutto irrilevante dal punto di vista politico.

Solo che le destre a furia di battere su questo chiodo han finito per far dimenticare che il Pci era in pieno nella pània della corruzione e della concussione. In quanto a Craxi in quel febbraio in cui fu arrestato Chiesa affermò che era un ‘ mariuolo’, dando a intendere di una ‘ mela marcia ’ in un cesto di mele sanissime. Solo in estate denunciò in Parlamento che la corruzione riguardava tutto il sistema dei partiti. Un discorso che, ancor oggi, viene portato come prova di coraggio. Ed era invece il contrario. Perché a quel punto Craxi era già stato colto con le mani sul tagliere ed era troppo comodo e anche un po’ vile fare solo in quel momento una chiamata di correità generale. Quel discorso Bettino Craxi lo avrebbe dovuto fare nel febbraio del 1992, quando non era ancora stato toccato personalmente dalle inchieste, e allora avrebbe evitato, se non la reclusione, almeno quel discredito che gli è caduto poi addosso, accentuato dalla fuga (“per paura della prigione” come mi disse il fedelissimo Ugo Intini) in Tunisia, protetto dal dittatore Ben Alì.

Si è comportato come uno Schettino qualsiasi. Come un comandante che abbandona la nave che affonda, così un ex presidente del Consiglio non si sottrae alle leggi del proprio Paese, non getta fango sul proprio Paese, non ne delegittima le Istituzioni delegittimando, con ciò, anche se stesso come presidente del Consiglio. Queste cose le scrivevo, con una certa sofferenza devo dire, perché socialista ero e, per il qui e ora, socialista rimango, quando Bettino Craxi era vivo. E oggi me le sarei risparmiate se non avessi ascoltato quella faccia di bronzo di Bruno Vespa cercare di ribaltare, per l’ennesima volta, la realtà dei fatti, trasformando i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli del disastro italiano.

Il Fatto Quotidiano, 11 Febbraio 2012

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