Ora verrà messa in mezzo pure l’Onu. La presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, nel trentennale della guerra per le isole Falkland, torna a parlare di quelle che nel continente americano vengono chiamate “Malvinas”. E lo fa per dire che, per quelle isole, coinvolgerà anche l’Organizzazione delle nazioni unite, per prevenire una nuova guerra che in molti, ora temono. Intanto, all’Argentina arriva anche la solidarietà del presidente venezuelano Hugo Chavez. «In caso di un conflitto, staremo dalla parte di Buenos Aires», ha detto Chavez la settimana scorsa. Il tutto mentre il Regno Unito manda nei mari del sud una nave da guerra, la HMS Dauntless, e persino il principe William, in qualità di pilota, per addestramento. Una mossa che la Kirchner ha definito «un chiaro segno del nuovo colonialismo».

Colonie, appunto. Nel mondo, al momento, ne esistono sedici, e una buona dozzina sono britanniche. Da Anguilla a Bermuda, da Gibilterra alle Turks and Caicos, da Saint Helena alle Cayman Islands. E alle isole Falkland. Ufficialmente sono delle “dipendenze”, ma la presidente argentina le ha ribattezzate con il loro nome. «Da parte del Regno Unito, avere ancora delle colonie nel ventunesimo secolo è un vero e proprio anacronismo», ha detto. A Londra il governo – ma anche l’opposizione – difende invece a spada tratta il carattere britannico delle Falkland, non intende retrocedere e sostiene che solo un referendum voluto dagli abitanti delle isole – all’85 per cento di lingua e cultura inglese – potrebbe decidere della sorte di questi che in molti reputano solo degli scogli inutili e quasi disabitati.

Ma le Falkland costituiscono una porta d’accesso verso l’Antartico e verso la parte sud del mondo. E, soprattutto, promettono di regalare a Londra tanto petrolio. Sono state proprio le recenti perforazioni esplorative, infatti, a riaccendere la tensione. Buenos Aires temeva e teme per l’ambiente, ma soprattutto per il proprio destino. E a poco è servito l’embargo in Argentina delle navi con bandiera delle Falkland. Sulle isole ora si ha difficoltà a trovare frutta e alimenti freschi – e qualcuno l’ha già definita la “guerra delle banane” – ma i britannici non si lasceranno piegare facilmente e la missione del nipote della regina Elisabetta è lì a dimostrarlo.

La guerra dell’82 è ancora ben impressa nella memoria degli inglesi. Un migliaio di morti tra una parte e l’altra, il rafforzamento in patria della figura di Margaret Thatcher, la derisione da parte degli Stati Uniti d’America – «avete fatto tutto per un paio di scogli» – e un dibattito che va avanti da trent’anni. Tutto questo ha creato uno dei conflitti che più hanno catalizzato l’animo britannico. A Londra l’orgoglio, a Buenos Aires la rabbia. E in mezzo le poche migliaia di abitanti delle Falkland-Malvinas che resistono su quegli “scogli” come personaggi de Il Deserto dei Tartari di Buzzati.

Poi, ieri, la sortita della Kirchner. Che ha parlato dal palazzo presidenziale davanti a una grande cartina delle Malvinas colorata come la bandiera argentina. «È anche una questione di sicurezza internazionale – ha detto – non possiamo permettere una nuova guerra». Ora anche la minaccia di chiudere lo spazio aereo fra il Cile e le Falkland, cosa che metterebbe in gravi difficoltà gli abitanti delle isole, che proprio dal Cile passano per poi proseguire nel resto del mondo. Ma le Falkland sono collegate anche all’Argentina. Un volo al mese, per consentire di visitare i loro cari ai parenti di quei militari morti nel conflitto. A Londra li chiamavano in modo sprezzante “soldaditos”, parola spagnola per indicare prevalentemente i soldatini di latta o di plastica. In 649 persero la vita – contro i 258 britannici – e oltre mille restarono feriti o mutilati.

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