I beni pubblici usati come bancomat, il patrimonio di tutti che diventa affare per pochi. Dentro le istituzioni, all’ombra della politica. Si moltiplicano i casi di italian real estate, la vendita sottocosto di pezzi dello Stato. L’ultima puntata del romanzo immobiliare è la compravendita-lampo di un palazzo nel cuore di Roma che ha permesso al senatore del Pdl Riccardo Conti di mettersi in tasca un plusvalenza da 18 milioni di euro in 24 ore: comprato a 26,5 milioni dalla società di Conti “Estate2”, è stato rivenduto il giorno dopo a 54 milioni all’ente previdenziale degli psicologi (Empap). Roba da matti, verrebbe da dire. Ma mica troppo. Perché gli episodi di (s)vendita di grandi patrimoni immobiliari pubblici in dismissione hanno riempito le cronache: Empap, Enpapi, Enasarco, Siae e altri ancora.

Fece scalpore il caso di Pietro Lunardi, l’ex ministro del Pdl accusato di aver aquistato sottocosto un palazzo di “Propaganda Fide” nel 2004 grazie all’intercessione di Angelo Balducci. E’ un capitolo dell’inchiesta sulla cosiddetta “cricca” dei Grandi Eventi per il quale i magistrati del tribunale di Perugia si son visti negare per ben due volte l’autorizzazione a procedere dalla giunta della Camera. Tuttavia la dinamica e i saldi dell’operazione sono emersi chiaramente. Lunardi, insieme al cardinale e arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe sono entrambi “responsabili delle infrastrutture”, uno per conto del governo e l’altro per conto della Congregazione. E nell’esercizio delle loro funzioni pensanno bene di cimentarsi in un “baratto” articolato così: il ministro avrebbe assegnato 2,5 milioni di euro all’ente religioso come contributo pubblico alla ristrutturazione della sede della Congregazione in piazza di Spagna, il religioso per contro avrebbe acconsentito alla vendita sottocosto di un immobile in via dei Prefetti alla società del figlio di Lunardi, Giuseppe, per 3 milioni anziché gli 8 milioni di valore effettivo. Insomma, un baratto all’ombra di un privatissimo affare immobiliare poi giustificato dietro imperscrutabili “superiori interessi collettivi”. Privatissimo anche quello che ha portato alle dimissioni di Claudio Scajola. Sempre di un immobile si tratta e sempre di un ministro. Ancora però non è dato sapere come l’imprenditore Anemone potesse aver pagato l’appartamento a due passi dal Colosseo tenendo rigorosamente all’oscuro di tutto l’ex titolare dello Sviluppo Economico. L’indagine è ancora aperta.

Non finisce qui. C’è un altro giro di speculazioni. Stavolta investe i palazzi della Siae, l’ente pubblico che si occupa di diritti d’autore. L’ente, si sa, deve far fronte a una situazione dei conti a dir poco difficile e decide di “realizzare” dismettendo parte del patrimonio immobiliare. Il 28 dicembre il presidente dell’ente Gaetano Blandini firma la vendita a due fondi immobiliari per un valore che è metà di quello stimato dal mercato: 260 milioni di euro anziché 463. La vicenda diventa un caso perché i sindacati dell’ente con 1.200 dipendenti non hanno gradito la svendita che comporta il pagamento di una sede in affitto per 600mila euro l’anno all’Eur. Così hanno manifestato tutta l’intenzione di andare dalla magistratura. Sul caso ha presentato un’interrogazione Elio Lannutti dell’Idv perché dietro l’operazione, già discutibile per i conti, qualcuno ha fiutato l’affare. Si intravvede l’ombra lunga della cricca Anemone-Balducci. C’è un legame storico con Blandini che è a capo dell’ente dopo aver ricoperto l’incarico di direttore del settore “Cinema” del ministero per i Beni culturali. “Anche lui, come Carlo Malinconico, era legato al provveditore Angelo Balducci e a Diego Anemone“. Quanto vicini lo rivelano le intercettazioni del febbraio 2009 in cui si fanno raccomandazioni a raffica, con Blandini che segnala una persona da assumere e in cambio si adopera per le società di produzione gestite dalle mogli di Balducci e Anemone. Ma finanzia anche un film dove recita Lorenzo Balducci. Pochi mesi dopo, Blandini sarà nominato direttore generale della Siae e firmerà la (s)vendita.

Un’altra vicenda è quella relativa alla compravendita di via Farnese da parte dell’ente previdenziale degli infermieri Enpapi. Anche qui c’è una villa che in un giorno, stranamente, si è rivalutata del 25%. A raccontare la vicenda è il Sole24Ore nell’autunno 2010. La cassa previdenziale nel 2009 decide di dotarsi di una prestigiosa sede e compra per 20 milioni di euro una sontuosa villa in via Farnese 3, quartiere romano Prati. A venderla è Dm Immobiliare che l’aveva appena comprata dalla Citec Interbational, una società informatica, per 16 milioni. Non proprio un affare per gli infermieri che proprio nel momento di redarre il bilancio previsionale si sono accollati la perdita di 4 milioni in un colpo più i costi di ristrutturazione della villa. Come è finita? In Parlamento. Cioè non è finita. Perché a fronte di interrogazioni e polemiche le risposte sono state a dir poco evasive.

Qualcuno ricorderà poi la vicenda Enasarco che ha travolto (si fa per dire) l’ex-presidente della Confcommercio Sergio Billè con una condanna a tre anni di reclusione per corruzione, riguardo al suo ruolo di intermediario nell’assegnazione del patrimonio immobiliare dell’Enasarco, l’ente previdenziale degli agenti di commercio. La condanna verrà condonata con l’indulto e cadrà in prescrizione dopo sei mesi. Tra le operazioni sospette, la vendita di un immobile di pregio dell’associazione a prezzo di favore all’amico Stefano Ricucci. Da allora, i furbetti del quartierino hanno popolato le cronache.

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