Mancano ormai meno di tre mesi al primo turno delle presidenziali francesi. Nicolas Sarkozy è dato per il momento come perdente nella corsa contro François Hollande, il candidato socialista. Ma l’attuale presidente punta comunque su una misura assai discussa (e impopolare) in terra di Francia, che vorrebbe trasformare in legge prima della fine del suo mandato: l’Iva sociale. Da taluni considerata come il toccasana ideale per ridurre il costo del lavoro e aumentare la competitività dell’industria francese, in preda alla delocalizzazione. Secondo i sindacati, la novità viene invece derubricata come l’ennesimo regalo del Capo dello Stato alle aziende. E ai ricchi del Paese.

In un summit a metà gennaio con i rappresentanti dei lavoratori e con quelli degli imprenditori, il Presidente non aveva neanche osato pronunciare l’espressione “Iva sociale”, proprio per evitare polemiche, parlando comunque della necessità di “una diversificazione accresciuta delle fonti di finanziamento della protezione sociale”. Di cosa si tratta? Del trasferimento di una parte dei contributi pagati dagli imprenditori sull’Iva. Si alleggerisce così il costo del lavoro, particolarmente alto in Francia, e si sposta quel carico sul consumatore. Dettaglio importante: mentre i contributi sociali gravano solo sulle imprese che fabbricano in Francia, l’Iva si applica anche ai beni importati. Alla fine si sostiene la competitività del “made in France”.

La misura è stata già applicata nel passato in Danimarca e in Germania. Giravano voci che perfino il premier italiano Mario Monti l’avesse presa in considerazione. A Parigi, in ogni caso, la battaglia di Sarkozy, per di più in piena campagna elettorale, si annuncia ardua. Per l’economista Nicolas Bouzou “occorre agire sul costo del lavoro, troppo alto in Francia, ormai anche rispetto alla Germania. L’Iva sociale è una delle misure da prendere d’urgenza”. Invece Philippe Askenazy, docente all’Ecole d’économie de Paris (Pse), ritiene l’Iva sociale “profondamente ingiusta e per di più inefficace”. Secondo l’economista, potrebbe generare al massimo 20mila nuovi posti di lavoro, “ma graverebbe soprattutto sui ceti medi e quelli più modesti”. Perché l’aumento dell’Iva, la tassazione indiretta, si sa, colpendo indiscriminatamente tutto, beni di prima necessità compresi, ha proporzionalmente effetti più bassi man mano che cresce il reddito.

Per tale ragione i sindacati in Francia sono contrari alla misura. Al pari della sinistra. E perfino alcuni rappresentanti dell’Ump hanno polemizzato su questo punto. “Sarkozy non c’è con la testa, è un suicidio politico”, ha sottolineato nei giorni scorsi Lionnel Luca, deputato del partito di centro-destra del presidente. Strano in effetti questo accanimento. Secondo una fonte dell’Eliseo, interpellata dal quotidiano Libération, “l’immagine di un Presidente che governa davvero fino alla fine può avere dei riflessi positivi sula campagna presidenziale”. Siamo sempre lì: il Sarkozy decisionista, quello che piace al francese medio. Forse, però, si tratta semplicemente dell’ultimo regalo di un leader al tramonto ai poteri forti del suo Paese, come il Medef, la Confindustria transalpina, gli unici veri fan dell’Iva sociale.

Domenica sera Sarkozy ha previsto un discorso alla tv, alle 20:30. Dovrebbe finalmente ufficializzare la sua candidatura. E anche parlare di Iva sociale. La misura dovrebbe tradursi nell’aumento di due punti percentuali (in Francia l’imposta sul valore aggiunto si attesta attualmente sul 19,6 per cento, poco sotto l’Italia) e permettere l’alleggerimento dei contributi sociali pagati dalle imprese per un totale di 12,8 miliardi di euro all’anno. Ma non è sicuro che il Presidente possa far passare una legge in merito prima della sua eventuale rielezione. In ogni caso sarebbe applicata solo dopo. E forse eliminata se, invece, a imporsi sarà Hollande, il candidato socialista.

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