Tra un dietro-front e l’altro, le imprese creditrici (almeno 70 miliardi) nei confronti della pubblica amministrazione avranno almeno una certezza. Qualche briciola, 4,7 miliardi di euro, è in arrivo con il decreto liberalizzazioni che aggira l’ostacolo dei vincoli comunitari attingendo ai fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti. Una formula che non comporta un “peggioramento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni”. In alternativa è stata prevista l’assegnazione di titoli di Stato fino a 2 miliardi con modalità che verranno definite da un decreto del ministero dell’Economia. Decreto che prevederà il mancato conteggio dei titoli stessi nei limiti delle emissioni nette indicate nella Legge di bilancio.

Un’altra fetta del totale, destinata ai creditori dei ministeri, arriverà dall’incremento della capacità dell’apposito fondo, con una somma la cui uscita sarà compensata da un’entrata equivalente nel Bilancio dello Stato sotto forma di rimborsi e compensazioni di crediti d’imposta. Oltre, per il momento, non sembra possibile andare. E proprio per via della tagliola comunitaria pronta a scattare se il debito pubblico italiano tornasse a salire, proprio a causa dei pagamenti alle imprese creditrici. Cosa che oggi non accade: proprio per i trattati Ue, quei 70 miliardi non vengono conteggiati perché “debiti commerciali”. Lo sa bene il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Lui stesso che a ridosso del suo insediamento a fine 2011 aveva lanciato la proposta del pagamento dei creditori dello Stato in Btp, sta ora facendo i conti con la realtà. Tanto da dichiarare alla Commissione industria del Senato che “emettere nuovi titoli per pagare i debiti è per definizione un aumento del debito pubblico. Quindi occorre procedere al ripagamento dello scaduto senza mettere in discussione il pareggio nel 2013 e quindi dobbiamo trovare dei modi, per ora abbiamo trovato 5 miliardi per procedere ai debiti contratti nel passato, senza rimettere in discussione gli obiettivi del pareggio”.

Sembra da escludersi, invece, un intervento della Cassa Depositi e Prestiti che, sempre su ammissione dell’ex banchiere, “potrebbe non essere una soluzione compatibile con gli obiettivi di pareggio di bilancio che ci siamo dati in Europa”. Questo per quanto riguarda il pregresso, mentre per il futuro il ministro promette il recepimento anticipato (rispetto alla scadenza del 2013) della direttiva comunitaria che impone al pubblico (sanità esclusa, che però rappresenta oggi circa 40 miliardi dell’impagato, più della metà del totale) i pagamenti entro 30 giorni con interessi salati sui ritardi. La questione, però, con la crisi si è fatta sempre più pressante e ieri è passata anche dalla Camera dove il gruppo del Pd ha presentato un’interrogazione che sarà discussa oggi al question time e nella quale si chiede formalmente al governo quali linee intenda “seguire e in quali tempi al fine di garantire il superamento della situazione dei ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione”. Gli interpellanti ricordano che “la questione ha assunto da tempo dimensioni preoccupanti”.

Anche perché il 49 per cento delle imprese che in Italia attendono i pagamenti pubblici in media per 180 giorni, sono piccole e medie aziende. Le stesse, cioè, che stanno incontrando grossissime difficoltà nell’accesso al credito da parte del sistema bancario. Il credito alle imprese, difatti, è ostacolato da una serie di “vincoli, difficoltà e rigidità” che impediscono di reperire le risorse necessarie per “recuperare adeguati livelli di margini operativi”, ha detto ieri il presidente di Rete imprese Italia, Marco Venturi, nel corso di un’audizione in commissione Finanze alla Camera. E le difficoltà più grandi le incontrano le imprese con meno di 20 addetti, alle quali viene erogato solo il 19 per cento dei prestiti. Secondo Venturi, infatti, la restrizione creditizia in atto, certificata dal bollettino della Banca d’Italia di gennaio, incide maggiormente sulle imprese minori, “nonostante il loro contributo al valore aggiunto nazionale sia più che doppio e quello all’occupazione ben al di sopra del 50 per cento”. L’associazione, poi, registra “un forte incremento dei tassi praticati dalle banche, i quali aggravano ulteriormente la situazione debitoria delle imprese finanziate” e un aumento dei costi accessori che “per alcune voci sono raddoppiati in un anno”. Lo stesso in cui secondo la Cgia di Mestre, su 11.615 imprenditori che hanno portato i libri in Tribunale, circa 3.600 lo hanno fatto per i ritardi nei pagamenti.

da Il Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2012

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