“Ehi fratello, fatti tippare il biglietto e poi portalo che dividiamo.” A dirmelo fu Peppino, la prima volta che sedetti allo Stammtisch (tavolo tondo al centro di un bar) insieme agli operai italiani che prima di tornare a casa passavano a bere una birra al Bocciodromo di Zurigo, situato accanto al supertecnologico Stadio. Questo slang mi parve interessante, quasi un rap che non avevo mai udito, ma che mi colpiva al cuore. “E’ passato qualche Gibò da qui, digli che sabato c’è la festa. Li aspettiamo”. Gibò… mi suonava familiare. Ma certo! L’adesivo della discoteca salentina che i giovani leccesi figli di emigrati attaccavano alle macchine accanto all’adesivo tricolore. Ecco, da questo gesto identificativo era nato l’appellativo di gibò, per definire i giovani italiani. Una specie di marchio cui i ragazzi ci tenevano per distinguersi nelle affollate aggregazioni giovanili nelle notti zurighesi o nei concerti.

Insomma il mondo degli italiani all’estero e in Svizzera in particolare, ha il suo fascino che pochi conoscono, ma che contiene elementi di una creatività emozionale che in Italia si ignora e si sottovaluta. Pensate, l’organizzazione storica più radicata si chiama “Colonie Libere”, quasi a sancire col termine “colonie” una aggregazione simile ai neri d’America, e fino agli anni Settanta distribuiva nelle stazioni i giornali italiani definiti in Svizzera fogli clandestini (il quotidiano L’Unità).

Ogni Colonia aveva una sede e un luogo in cui gli italiani si riunivano per discutere della difesa dei loro diritti contrattuali e delle pensioni, e ancora oggi questa associazione ha numerosi iscritti e leader di cui si narrano le storie e le imprese nei bar e nei circoli. Come quella del sindacalista siciliano che da Mazzarino, portò migliaia di operai e operaie alla Frisco-Findus, dove cercavano manodopera. O del pugliese piccoletto e scuro che fece arrivare mezza popolazione di Corsano, un piccolo paese del Capo di Leuca, a invadere le fabbriche di Glarus. Quello dell’emigrazione italiana in Svizzera è uno dei più bei romanzi che soggiace nel sottobosco della letteratura orale che si tramanda di generazione in generazione e che ancora non ha trovato interpreti perché storia troppo vicina al presente.

Le Colonie libere sono ancora operanti e sono lo spazio vitale per molti che oggi, chiamandosi ancora fra di loro fratelli, perché la parola “compagni” era bandita, continuano ad amare l’Italia pur rispettando la Svizzera che ha garantito loro un futuro per se stessi e per i propri figli. Oggi i cosiddetti Gibò conoscono tre lingue, lavorano e non hanno problemi economici; sono doppi cittadini, che prendono il meglio dalle due nazionalità. Hanno la precisione Svizzera alimentata da un cuore italiano. Pensateci, ma in fondo è quello che rende le nostre Ferrari dei gioielli in tutto il mondo: il top nella precisione e nell’avanguardia tecnologica, con il cuore e la passione italiana. Quando in Italia ci sarà più consapevolezza che all’estero ci sono non organi (a me non piace la definizione “cervelli in fuga” o “milze ai tropici”), ma uomini e donne che si muovono come tante Ferrari, forse, si potrà scrivere anche un grande romanzo sui “fratelli delle Colonie Libere”.

Articolo Precedente

“Equità sociale e più tasse ai ricchi”. Nell’anno delle elezioni Obama rivendica la sua linea

next
Articolo Successivo

Choc in Germania, a un giorno dal ricordo della Shoah pubblicate parti del Mein Kampf

next