La “promessa americana” è in pericolo. A renderla sempre più debole, pallida, deludente è la crescente disuguaglianza economica. Al governo tocca riequilibrare l’ormai insostenibile divario tra ricchi e poveri e garantire una maggiore giustizia: nella redistribuzione delle risorse, nell’accesso al sapere, nel contributo al bene pubblico. E’ il messaggio lanciato da Barack Obama nel suo discorso al Congresso sullo Stato dell’Unione, in cui il presidente Usa ha fissato una volta per tutte i temi della campagna presidenziale ma soprattutto ha lanciato un appello particolarmente forte – forse il più forte di tutto il suo mandato – a favore di una maggiore uguaglianza. “Possiamo decidere di creare un Paese dove un numero sempre più ristretto di gente sta davvero bene, e un numero crescente di americani ce la fa a fatica – ha detto -. O possiamo ricostruire un’economia dove ognuno ottiene il giusto e gioca con le stesse regole. In gioco non sono i valori democratici o i valori repubblicani. In gioco sono i valori americani”.

Entrando nella fase finale della sua presidenza, Obama ha rispolverato i temi della tradizione dell’interventismo economico cari alla base democratica (i suoi avversari stanno invece già parlando di “socialismo di mercato”. Sicuramente il discorso di ieri sera lo colloca ben più a sinistra rispetto al recente passato). La strada di Obama è esattamente opposta a quella scelta da Bill Clinton nel 1996, quando l’allora presidente, pressato dall’avanzata dei repubblicani, annunciò che “l’era del big government, dello Stato dirigista, è finita”. Forte di sondaggi che lo danno in ripresa, oltre al 56% di gradimento, e di un generale sentimento di rivalsa nei confronti del grande capitale, Obama ha invece scelto l’opzione di uno Stato che non si limita a fissare le regole del libero mercato ma interviene attivamente per riequilibrarne gli scompensi. Tra le sue proposte, è tornata quella che ormai definisce con più forza la sua proposta economica: una imposta di almeno il 30% per coloro che guadagnano più di un milione all’anno.

Gli accenti particolarmente populistici del messaggio, già fissati lo scorso novembre nell’ormai celebre “discorso del Kansas”, e che risentiremo con ogni probabilità anche nei prossimi mesi, sono stati evidenziati dalla scelta di un ospite speciale. Sugli spalti, accanto a Michelle Obama, c’era infatti Debbie Bosanek, la segretaria di Warren Buffet, il miliardario che ha più volte denunciato l’assurdità di un sistema che fa pagare alla propria segretaria una percentuale di tasse maggiore rispetto alla sua. Anche Obama, nei mesi scorsi, ha più volte ripetuto la storia del miliardario e della segretaria, che però ieri sera acquistava però un tono diverso. Di pochi giorni fa è infatti la rivelazione che Mitt Romney, il candidato repubblicano alla presidenza, paga soltanto il 13,9% di imposte sul suo capitale milionario.

Nei circa 70 minuti del discorso, Obama ha trattato diversi temi: successi nella “guerra al terrorismo” (soprattutto l’eliminazione di Osama bin Laden), riforma del sistema educativo, riconversione alle energie alternative, tornando però ogni volta all’economia e alla necessità di ridare slancio alla “promessa americana di una casa, una famiglia, una vita migliore”. Il presidente ha annunciato che la fine delle guerre in Iraq e Afghanistan metteranno a disposizione 200 miliardi di dollari nei prossimi sei anni, che potranno essere utilizzati per la costruzione di strade, ponti, linee ferroviarie. In risposta alle critiche repubblicane, ha poi spiegato la sua intenzione di creare un ufficio (si chiamerà “Trade Enforcement Unit”) responsabile di sanzionare la concorrenza sleale in campo commerciale (Obama ha espressamente citato la Cina, rispondendo così alle critiche di Romney, che lo accusa di “debolezza” nei confronti dell’aggressiva politica commerciale e monetaria di Pechino).

Per venire incontro alle vittime delle foreclosures, Obama ha annunciato la possibilità di rifinanziamento dei mutui a tassi particolarmente bassi (ciò che farà risparmiare, secondo la Casa Bianca, 3000 dollari all’anno ai proprietari di casa). Le tasse universitarie saranno tenute sotto controllo attraverso la minaccia del ritiro dei finanziamenti federali a college e università (e ai singoli Stati Obama ha chiesto di approvare una legge che obblighi i ragazzi a restare a scuola almeno sino ai 18 anni). La minaccia della cancellazione delle esenzioni fiscali verrà utilizzata contro quelle società che spostano la produzione all’estero. E cospicui incentivi federali saranno spesi a favore di progetti di energia pulita nelle aree di proprietà federale.

Oltre le proposte concrete (gran parte di queste già ascoltate nei mesi scorsi), il discorso di Obama è stato comunque dominato proprio dal tentativo di venire incontro alle ansie della classe media americana, cui il presidente ha promesso di “non tornare mai più a un’economia indebolita dai debiti e da profitti finanziari fasulli”, e cui ha voluto esibire i suoi risultati sull’occupazione: “Nei sei mesi prima della mia salita alla Casa Bianca abbiamo perso quasi quattro milioni di posti di lavoro. E ne abbiamo perso altri quattro milioni prima che le nostre politiche facessero effetto. Negli ultimi 22 mesi, abbiamo creato 3 milioni di posti di lavoro”. In un anno elettorale, questa promessa di futuro alla classe media è stata sostanziata anche da un avvertimento al Congresso e da un nuovo appello all’unità del Paese (che, in un clima elettorale così surriscaldato, non verrà probabilmente accolto): “Con o senza questo Congresso, continuerò a fare delle scelte che aiutino la crescita economica. Ma posso fare molto di più con il vostro aiuto. Perché, quando agiamo insieme, non c’è nulla che gli Stati Uniti d’America non riescano a raggiungere”.

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