“Fra le destinazioni del mito scadente del ‘sette giorni-sei notti’, da qualche anno troviamo gli Emirati Arabi Uniti. I sette emirati, descritti da moltissimi tour operator come il nuovo volto dell’Islam, fra dune di sabbia rossa e inaspettate città giardino, in verità rappresentano il luogo più deviato del momento. L’incubo concreto di quello che il peggio del mondo Arabo e dell’Occidente possono edificare.

Qui, fino a quarant’anni fa, non c’era nulla. Non c’erano i cantieri e gli alti grattacieli di vetro. Non c’era il Bulj Al Arab, l’hotel a forma di vela, non c’erano le specie di piante africane e asiatiche, la TV satellitare, le discoteche per uomini d’affari, i negozi di computer e di accessori per la macchina, i saloni dell’aeronautica e della moda, gli schiavi asiatici. Ma poi è arrivato il petrolio, c’è stata la crisi del 1973 e gli emiri hanno deciso di farla finita con la tradizione beduina: sono volati negli Stati Uniti e in Europa, ed è cambiato tutto.

Le fermate dell’autobus hanno l’aria condizionata, se ne trovano molte lungo le strade ad otto corsie, di fianco ai creeks, i vecchi fiordi, distrutti dagli alberghi a forma ondulata o a vela maestra. Comprare l’oro è l’attività principale delle donne arabe. L’unica attività consentita fuori di casa. L’alcol invece è venduto anche durante il Ramadan. Gli alberghi lussuosi ne tengono grosse riserve.

I beduini con il rolex e la dishdasha tradizionale entrano ed escono dai grandi grattacieli. I turisti li fotografano. Ammirano, apprezzano. Sembra tutto funzionare al meglio. Pulizia, mancanza di cattivi odori. È tutto esotico, un esotico finto e studiato in uffici eleganti. Nessuno ha chiesto alla popolazione cosa gli sarebbe piaciuto che diventasse la propria terra grazie alla ricchezza economica.

La disoccupazione non esiste. Lavorano tutti. Soprattutto i cingalesi, i filippini e i tailandesi che qui arrivano a frotte. Prendono paghe da fame per curare le aiuole pubbliche, rifare le camere nei night e negli alberghi, spalare la neve nelle piste da sci artificiali. Gli emigranti lavorano e a fine giornata vengono caricati sui pullman e portati negli alloggi popolari al di là del confine con l’Oman.

L’Occidente vuole la pulizia, i duty-free, le tintarelle sulle spiagge limpide. L’Occidente non vuole sapere dove dormono gli immigrati, cosa fanno le donne quando non comprano l’oro. L’Occidente è ben felice che gli emiri elargiscono soldi per le guerre al terrore in Iraq e in Afghanistan, mai concluse realmente, nonostante i proclami quasi gandiani di Super presidenti e Soavi Ministri degli Esteri, che per ricompensa verso tanto zelo e per non essersi fatti immischiare nelle rivolte popolari della Primavera Araba, li aiutano a edificare le isole a forma di palma, quelle con la vegetazione tropicale e gli animali della foresta, quelle costruite per diventare colonie per milionari… e intanto manca l’acqua, l’ambiente naturale si sta deteriorando. Il deserto muore, la barriera corallina scompare.

In questo luogo, fino a quarant’anni fa desertico, tranquillo e silenzioso, oggi si percepisce solo l’assurdità del “domani”. Ospitalità, tranquillità e lusso sono ormai diventati articoli per turisti. Gli Emirati cancellano la storia con una mazzetta di dollari. Qui non capita nulla. Guerre e carestie non interessano. Ci si rilassa ad andare a vedere le gare di cammelli. Si ride a guardare i fantini, bambini dai cinque ai dieci anni, quasi tutti cingalesi, rapiti alle loro famiglie e portati qui a divertire emiri e amici d’oltreoceano. I bambini spaventati gridano di paura. Secondo un esperto è questa paura che fa correre più veloce il cammello. Si scommette, si punta. Fra le grida, il caldo e il fruscio dei soldi, scende il tramonto.

Grattacieli illuminati. Uomini in giacca e signore in vestito da sera entrano nei locali all’ultima moda. I camerieri salutano cerimoniosamente. Le maniglie dei bagni sono d’oro. Nelle sale da ballo si danza, si brinda al dolce domani. Presenze oscure ricoperte d’oro e di vergogna tornano a casa. L’aria condizionata è accesa ovunque, sibili, macchine carburate perfettamente. Aiuole magnifiche. Tutto finto e perfettamente curato. Però manca la storia, e questo fa di questo luogo un posto da evitare. A meno che non si voglia essere complici della lucida follia dei tour operator”.

Questo post è un aggiornamento di un reportage contenuto in Focus Viator. Fifteen safety matches pubblicato dalla casa editrice statunitense LA Case Production nel 2011, che a sua volta era un aggiornamento di un articolo uscito sul quotidiano “il reporter”. Come a dire: i futuristici Emirati sono una realtà globalizzata quasi immutabile.

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