Quanto al governo Monti stiano a cuore le banche l’abbiamo capito dall’inizio. Quanto, al contrario, punti sulla rivalutazione dei beni comuni e dell’energia pulita è assai meno scontato. Nelle ultime settimane abbiamo assistito al tentativo di vanificare la pubblicizzazione dell’acqua, di liberalizzare le perforazioni del suolo e dei fondali marini, iniziative stoppate dalla reazione dell’opinione pubblica e dei movimenti. Ora, e senza alcuna discussione preventiva, si ripresenta la questione del deposito delle scorie nucleari e si tenta di destabilizzare, per l’ennesima volta, il sistema di sostegno alle fonti rinnovabili, modificando di soppiatto e in corso d’opera alcune norme contenute nel Decreto Legislativo n° 28 del 3 marzo 2011, il cosiddetto Decreto Rinnovabili.

L’industria fotovoltaica ha ridimensionato gli organici e modificato i piani di investimento già nel 2011. Ora avrebbe bisogno di stabilità e certezza normativa per poter continuare a creare posti di lavoro, prezioso gettito fiscale, energia pulita e indipendenza dalle fonti fossili. Invece, tanto per cambiare, si sta creando grande confusione sul fotovoltaico posto a terra e sulle coperture delle serre con pannelli solari.

Col “decreto sulle liberalizzazioni” al fotovoltaico su suolo agricolo da oggi si tolgono completamente “senza se e senza ma” gli incentivi. Io sono d’accordo. Se si vanno a leggere bene alcune postille barocche del testo, però, si scopre che gli incentivi sono prorogati, di fatto, fino a marzo 2013. Intanto il Gse ha comunicato che non riaprirà il Registro Grandi Impianti nel secondo semestre 2012, obbligatorio per l’attivazione. Che cosa significa? Chi capisce perché il governo alzi di colpo l’incentivo alle serre fotovoltaiche parificandolo a quello del fotovoltaico montato sugli edifici, dopo aver abbassato lo stesso per gli impianti sui parcheggi o sulle pensiline? Se il fotovoltaico a terra non va incentivato perché è brutto, perché è in contrasto con l’uso agricolo e perché al Sud stiamo raggiungendo la grid parity, per quale motivo si dovrebbe incentivare una serra con un pannello sul tetto, che ha un impatto paesaggistico non minore di un pannello poggiato a terra e riduce l’irraggiamento solare indispensabile alla produttività delle culture?

Se l’obbiettivo del governo era quello di difendere i terreni agricoli dalla speculazione fotovoltaica, difficilmente verrà raggiunto. I grandi fondi di investimento smetteranno di costruire decine di Megawatt a terra e inizieranno a costruirli a un paio di metri dal suolo, dopo che gli impianti in sospeso saranno nel frattempo stati autorizzati. In pratica un “caos ordinato”, così caro all’Italian Style di qualsiasi governo.

Infine, non ci può sfuggire che esiste un altro “competitor”, che può trarre benefici dalla precarietà e dalla confusione delle regole su cui dovrebbero poter contare i produttori e gli utilizzatori del fotovoltaico: le bioenergie. Queste potrebbero inondare, come in parte già fanno in Pianura Padana, i terreni agricoli per una destinazione energetica anziché alimentare: per avere un’idea, 1 MW di pannelli solari copre 2 ettari e mezzo; le bioenergie per ottenere un risultato equivalente  richiederebbero 100 volte tanto terreno concimato. Ma forse non è un problema per l’attuale ministro dell’Ambiente Clini, Chairman della Global BioEnergy Partnership (Gbep), che nel suo sito web presenta la propria attività come “un contributo a un settore che assumerà una importanza crescente nel corso dei prossimi anni, con l’espansione dei biocarburanti e delle agroenergie sui mercati internazionali”.

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