Un discorso complesso, quello dello democrazia in Cina. Qui sono in molti a sostenere che la democrazia non sia adatta alla Cina (o che la Cina non sia adatta alla democrazia).

Spesso si ricorre a argomentazioni come la differenza culturale tra Oriente e Occidente, la vastità del paese, la popolazione troppo povera, l’economia non ancora sufficientemente sviluppata e – soprattutto – la suzhi (l’etica) di cittadinanza troppo bassa.

In questi ultimi mesi le proteste di Wukan e le elezioni a Taiwan hanno riaperto l’argomento nella Cina continentale.

Le proteste nella cittadina di 20mila abitanti della ricca regione meridionale del Guangdong, sono cominciate a settembre 2011. I contadini manifestavano per protestare contro la vendita delle terre alle aziende private.

La protesta sarebbe nata dal fondato sospetto che alcuni quadri di partito, tra cui il segretario Xue Chang, avessero venduto alcuni ettari di terra comune (di regola affittata ai contadini per un periodo di 70 anni) a una società di costruzioni, la Country Garden, per il valore di più di un miliardo di yuan.

Migliaia di persone hanno preso parte agli scontri, molti i feriti e alcuni gli arresti. Dopo le prime giornate di protesta i funzionari locali sono scappati e da allora, tra manifestazioni e assemblee, il villaggio di Wukan ha avviato un esperimento di autogoverno che era stato addirittura avvicinato dal Financial Times alla Comune di Parigi.

Poi, una vittoria dopo l’altra. Come scrive sul magazine indipendente di Hong Kong Isunaffairs Chang Ping, perla del giornalismo indipendente cinese autodefinitosi “equilibrista dell’auto censura”, “è la prima volta”.

Il riconoscimento degli abitanti del villaggio come soggetto della richiesta di interessi; la correzione dei pretestuosi richiami a strumentalizzazione e incitamento da parte delle forze ostili straniere. È la prima volta.

L’incrinatura del controllo del governo, la realizzazione di tre mesi di autogoverno, l’elezione di un consiglio di autogoverno, la vittoria dei diritti civili. È la prima volta.

E soprattutto, per la prima volta il governo è stato forzato a riconoscere un consiglio precedentemente definito “organizzazione illegale”.

Ancor più degno di nota, è che per la prima volta che i contadini cinesi sono saliti sul palco della storia con uno status di cittadini, mettendo in pratica – per la prima volta nella Cina rurale – un autogoverno moderno e democratico.

Un’altra storia.

All’inizio di dicembre, dopo aver assistito al primo dibattito tv tra i tre candidati premier a Taiwan, un ragazzo di 35 anni ha remato dalla costa cinese all’isola. Arrestato per immigrazione illegale ha dichiarato ai giornalisti di Taiwan “Volevo solo vedere la vostra campagna elettorale – e ancora – se Taiwan e la Cina sono un solo paese, perché mi arrestate?

Prendendo spunto da questi fatti, il discorso sulla democrazia è esploso sui microblog. Il 6 gennaio scorso un utente Weibo, il Twitter cinese, ha messo online un file immagine (un modo come un altro per aggirare la censura) con 30 domande rivolte a chi si oppone alla democrazia. In poco più di due settimane, il post è stato condiviso oltre 9100 volte e ha collezionato oltre 2300 commenti.

Con semplici argomentazioni logiche, smonta pezzo pezzo la teoria per cui i cinesi non sarebbero sufficientemente “sviluppati” e “colti” per la democrazia.

Si pone l’accento sul fatto che la nostra gente non avrebbe abbastanza carattere o non sarebbe adatta a portare avanti i sistemi democratici occidentali. Ma allora, come abbiamo fatto a sviluppare un sistema socialista così avanzato? È forse che il socialismo non richiede un carattere forte e una condotta specchiata? O forse il socialismo è un sistema inferiore al capitalismo?

E così via per 30 domande. Vale la pena leggerle.

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