Raffaele Donini, segretario provinciale di una tra le più grandi federazioni dei democratici in Italia, quella di Bologna, sceglie di diventare segretario a tempo. “Mi licenzio, e al posto del mio attuale contratto a tempo indeterminato ne firmerò uno a scadenza”. Una piccola rivoluzione per il Pd, dove i funzionari politici, una volta entrati nel corpaccione del partito, solitamente non ne escono più passando da un incarico all’altro senza sosta e senza possibilità di estromissione.

A seguire l’esempio di Donini e a passare a tempo determinato saranno tutti i dirigenti che nel Pd bolognese hanno ruoli o incarichi politici. “Anche quelli che sono in aspettativa perché eletti nei vari Comuni della provincia”. In totale, tra i funzionari a tempo indeterminato attualmente in servizio e quelli in aspettativa una decina di persone.

“Il Pd di Bologna – spiega Gianfranco Pasquino, politologo che non ha mai lesinato critiche nei confronti del partito democratico locale, da lui definito “blocco di potere” e “associazione benefica e assistenziale” – è l’erede del vecchio Pci, formazione politica particolarmente ingessata, fatta di bande che si auto-promuovevano e a volte lottavano tra loro. La battaglia di Donini è giusta, ma non bisogna illudersi che la guerra sia finita. Bisogna vedere se i vari funzionari non reagiranno e impediranno nel concreto il cambiamento”.

Per loro, una volta finito il mandato elettorale, se ci sarà un rientro nel partito con incarichi politici e non tecnici scatterà il contratto a termine. “E’ una regola – spiega sempre Donini – che deve valere per tutti. So che è una riforma difficile e che ci vorrà tempo per vedere i primi risultati, ma mi immagino un partito radicato sul territorio e che possa essere guidato anche da dirigenti presi dalla società, e che nella società possano tornare ad esercitare il proprio mestiere”. Insomma la fine dei vecchi dinosauri che della politica facevano e fanno un mestiere a vita? E’ presto per dirlo e per giudicare una riforma che sta per partire, ma Donini non si sottrae: “No, la politica non può più essere un mestiere, l’era dei vecchi funzionari a vita è finita”.

La riforma, a dire la verità, Donini l’aveva presentata ormai un anno fa. Poi gli stessi dirigenti del Pd avevano chiesto tempo, posticipando il tutto a dopo le primarie bolognesi e poi ancora più in là, dopo le elezioni comunali della scorsa primavera che hanno consegnato al democratico Virginio Merola la poltrona di sindaco di Bologna. Ora il segretario ha deciso di mettere in pratica l’annuncio. A ben vedere una sfida al Movimento 5 Stelle proprio sul terreno a loro più caro, quello della battaglia alla cosidetta “casta”. E infatti è a loro che a Bologna possono contare su un voto su 10 e nei quartiere raggiungono anche il 13% di preferenze, che Donini rivolge le proprie critiche: “Mi ha sorpreso molto il vattene che Grillo ha rivolto al consigliere regionale Defranceschi. Questa è una logica padronale, il rovescio della medaglia del berlusconismo. Il pluralismo delle idee è per noi un valore, forse per loro è un fastidio”.

Critiche che il consigliere regionale Giovanni Favia rispedisce al mittente: “Donini vuole dire basta ai politici di professione? Il suo partito ne è pieno, dal presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani in giù. Forse quella del Pd è un’operazione di facciata, sicuramente è il segno che i temi del Movimento 5 Stelle stanno costringendo i partiti a cambiare le proprie priorità”.

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