Il 5 gennaio 2012 Giuseppe Peppino Impastato avrebbe compiuto 64 anni, festeggiando forse un’età da pensione. Il 5 gennaio 2012 Giuseppe Pippo Fava lo avrebbe passato probabilmente a casa, al caldo, a godersi tutti i suoi arzilli 86 anni, festeggiando soltanto la vigilia dell’Epifania. Di compleanni Peppino ne festeggiò soltanto trenta. E’ assente da 34 anni a causa di una ferrovia e una dose massiccia di depistante tritolo mafioso. Forse prima di legarlo e farlo esplodere come una bomba lo tramortirono. Ma era notte fonda e per anni nessuno che indossasse una divisa ebbe voglia di capire come andarono i fatti. Da allora tutti gli altri compleanni li hanno onorati in sua assenza i suoi amici e compagni di un tempo.

Negli stessi momenti in cui a Cinisi si festeggia Peppino, qualche chilometro più a est, alcuni penseranno a Pippo. Non è in casa ma doveva andarci, 28 anni fa, dopo essere passato a prendere la nipote a teatro. Non arrivò né a casa né a teatro. Si fermò invece in via dello Stadio, a Catania, sulla sua Renault 5, dove cinque codardi proiettili calibro 7 e 65 schivarono le gocce di pioggia e lo presero in silenzio alla nuca, cambiandogli per sempre i programmi della serata.

Differenti gli studi e le esperienze, diversa la formazione politica, diversa la sponda dell’isola in cui erano nati e cresciuti (e in Sicilia questo è un fattore importantissimo): Pippo e Peppino erano di base persone diverse. Tecnicamente non si sarebbero potuti neanche conoscere. Anche se erano uguali, o meglio splendidamente simili.

Tutti e due intellettuali dai gusti onnivori, tutti e due carismatici, tutti e due giornalisti, anche se in modo diverso. Tutti e due morti ammazzati in silenzio, di notte, da killer che per anni rimasero senza volto e nome.

Peppino doveva essere un terrorista, un attentatore ucciso dalla sua stessa follia. Un carnefice che si fa vittima. Fecero sparire tracce, documenti, appunti d’indagine, perfino testimoni.

Pippo invece doveva essere morto per questioni di donne. Anzi per questioni di soldi. O magari tutti e due. Sarà per questo che i giudici cercarono tra le sue misere proprietà, i politici chiesero di dimenticarsene presto e al funerale non ci andò quasi nessuno. Come se il mafioso assassino fosse lui.

Insabbiati, depistati, derisi. Ma non è servito a nulla.

Il 5 gennaio è una data che unisce non solo due uomini accomunati da un nome, un’isola e una professione. Unisce la gente onesta e per bene che non deve sprecare il sacrificio  espiato da tanti in nome soltanto di un’idea. Perché la sottile linea d’inchiostro, di sangue e di libertà di Pippo e Peppino non deve essere stata vana.

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