Si sentono spregiudicati. Si giudicano moderni. Già si preparano a riabilitare don Verzè: non contano i debiti, le minacce ai vicini, il jet, le ville, il luogotenente suicida, e neppure quella croce esibita sulla giacca a mo’ di oscena copertura. Perché tra un bancarottiere e i truffati non hanno mai esitazioni, vanno a presidiare il malloppo, elogiando la furbizia di chi lo ha accumulato, e chiamano moralisti i gonzi che chiedono giustizia. Tra un miliardario e la minorenne, scelgono sempre dove sta il potere, accanto alla tavolata del giocoliere galante.

Hanno piagnucolato per Bettino che si rubò il socialismo, ma non hanno mai versato una lacrima per gli sciocchi militanti socialisti derubati. Tifano per Tanzi che imbosca il Matisse. Ammirano Lavitola in fuga. Trovano simpaticissimi Alfonso Papa che compra Rolex e Scilipoti che si vende l’anima. Chiedono libertà per Lele Mora al posto dei soli che ne avrebbero il dovere, gli ex massaggiatori dei suoi piedi, che invece se ne stanno prudentemente alla larga. Sono liberi pensatori che hanno in uggia il carcere, ma solo se riguarda i bianchi ricchi, non i pezzenti o gli albanesi che quando si suicidano usano il vetro, non i cerotti.

Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2012

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