L’ultima polemica, in ordine di tempo, l’aveva lanciata un paio di settimane or sono l’ex ministro Giulio Tremonti con un intervento, inutile negarlo, capace di lasciare il segno. L’Italia, aveva spiegato alla vigilia della pausa natalizia, avrà bisogno di una nuova manovra di correzione dei conti da approvare entro aprile per completare il percorso di risanamento contabile in linea con le esigenze imposte dall’Ue. Un’ipotesi nettamente smentita da Corrado Passera cui ha fatto eco, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno anche il premier Mario Monti ma che pure, è noto, continua ad aggirarsi come uno spettro nelle stanze del Palazzo. Le indiscrezioni non mancano e, secondo quanto anticipato proprio dal Fattoquotidiano.it lo scorso 18 dicembre, suggerirebbero una cifra di circa 40 miliardi. Un nuovo maxi intervento da scongiurare a tutti i costi.

Nel frattempo è però possibile valutare con precisione il valore complessivo delle manovre che si sono succedute nel 2011 e, soprattutto, il loro effetto sugli anni seguenti. Il risultato è una cifra a dir poco esorbitante: 81 miliardi di euro, un dato senza precedenti. A rendere noto il calcolo è stato oggi il Centro studi Eutekne che, analizzando i documenti economico-finanziari pubblicati nel corso dell’anno ha individuato in 48,3 i miliardi di euro di rientro programmati per il 2012. La cifra totale del triennio è però destinata a salire a 75,6 miliardi nel 2013 e ad 81,2 dal 2014.

Analizzando i programmi delle manovre – nota ancora Eutekne – si scopre che quasi 3/4 dell’ammontare totale della correzione dei conti (oltre il 73%) è stato approvato dal Governo Berlusconi, il resto dal Governo Monti. Ancora più interessante l’analisi degli strumenti di rientro, divisi, non proprio equamente, tra tagli alla spesa (il 37,32% della manovra, circa 30,3 miliardi di euro) e aumento delle entrate (il 62,68% ovvero 50,9 miliardi). L’aspetto più rilevante è dato però dalle priorità delle strategia: quasi l’80% della manovra in atto per il 2012 sarà costituita da incrementi nelle entrate il che, di fronte a un programma di dismissione del patrimonio pubblico quasi assente, equivarrà in sostanza a un aumento della tassazione. Secondo i calcoli di Eutekne, nel 2012 la pressione fiscale si attesterà al 45,1% contro il 42,7 previsto in estate, per poi salire al 45,7 nel 2013 (previsione iniziale del 42,6%) e calare, finalmente, solo nel 2014 a 45,5% (contro il 42,4 precedentemente ipotizzato).

E qui viene la parte più interessante. Nel 2012, spiega Eutekne, gli aumenti della pressione fiscale sono attribuibili per il 55,51% alle scelte varate dal Governo Berlusconi e per il 44,49% a quelle del Governo Monti. Ma per gli anni successivi la tendenza cambia radicalmente: il 72,43% della crescita della pressione fiscale 2013 è determinata dalle scelte del vecchio esecutivo contro il 27,57 del nuovo. Il divario aumenta nel 2014: 76,69% per Berlusconi, 23,31% per Monti. In pratica è come se il precedente Governo avesse scelto di caricare i maggiori aumenti della tassazione a partire dal 2013 (cioè dopo alla scadenza naturale del mandato), cosa che, spiega al telefono il direttore di Eutekne.info Enrico Zanetti, “ha influito sulla percezione della gente determinando l’impressione di una maggiore durezza dell’ultimo decreto Salva Italia”. Ma come detto la realtà è diversa. “Il precedente Governo – ha scritto lo stesso Zanetti nel suo editoriale odierno – ha le sue brave ragioni quando rivendica di essere stato esso a varare la parte nettamente preponderante della manovra lacrime e sangue finalizzata a mettere in sicurezza i conti pubblici italiani. Non ne ha invece alcuna quando rivendica di averlo fatto prevalentemente con tagli di spesa, a differenza del Governo attuale, perché è vero, invece, che la parte preponderante dell’aumento della pressione fiscale, che i cittadini italiani sentiranno sulla loro pelle a partire da questo 2012, è frutto proprio delle scelte di quel Governo, confermate e ulteriormente amplificate da quello attuale”.

Nel piano di Monti, l’inizio del 2012 contempla l’avvio del programma di rilancio della crescita economica, il vero e proprio tallone d’Achille del sistema italiano. Sul tavolo, è noto, la liberalizzazione del mercato del lavoro e di alcuni settori specifici (con prevedibili battaglie campali contro tassisti e farmacisti), tutti elementi che concorreranno a formare il “pacchetto crescita” che, salvo ritardi, dovrebbe essere presentato il prossimo 23 gennaio a Bruxelles alla riunione dell’Eurogruppo. Per il momento si è discusso di molti aspetti, dall’articolo 18 agli ammortizzatori sociali fino alle norme pro concorrenza, ma i punti fermi sono davvero pochi e l’impressione è che tutto sarà condizionato dall’esito di una mediazione particolarmente insistita con i sindacati e imprese (e chissà che il Governo non si dichiari disposto a ridiscutere la contestata riforma delle pensioni). L’aspetto più significativo, per ora, è affidato alle stime più recenti di Confindustria: nel corso del 2012, hanno spiegato nelle scorse settimane gli industriali, il Pil italiano si contrarrà dell’1,6% mentre la disoccupazione salirà al 9% colpendo in modo particolare i giovani lavoratori, che si ritroveranno senza lavoro nel 25% dei casi. Non bisogna dimenticare, inoltre, come la riduzione delle entrate a causa della recessione (23 miliardi) varrà quasi tre volte tanto l’aumento del costo dell’indebitamento da parte dello Stato (circa 8 miliardi). “Tutto quindi dipende dalle prospettive di crescita” spiega ancora al telefono Enrico Zanetti. “Se l’effetto della manovra sarà ulteriormente recessivo un ulteriore ritocco dei conti sarà inevitabilmente necessario”.

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