Lo scorso 11 maggio non pochi temevano che Roma sarebbe stata distrutta da un terremoto. Il tam-tam era nato da dicerie, voci scovate in qualche oscuro manoscritto e poi rimasticate, quindi sparate sul web e riprese da tutti i media.

Quel giorno il 20 per cento dei dipendenti comunali della Capitale si mise in ferie. “Non ci credo ma …”. Anche al lavoro da me qualche collega programmò un viaggio o si prese un giorno di riposo: “Non ci credo, ma siamo pur sempre al sesto piano…”.

Il sottoscritto presidiò la sua scrivania. Mi fido della scienza e penso semplicemente che i terremoti non si possano prevedere. Domani chissà, ma oggi no.

Figuratevi quindi se oggi credo alla “profezia Maya” che annuncia la fine del mondo per il 21 dicembre 2012. Anche in questo caso si tratta di un confuso patchwork di voci, interpretazioni bislacche, letture esoteriche e bufale belle e buone: sono gli stessi studiosi delle società precolombiane a smentire tutto. Con tutti i problemi che abbiamo, verrebbe inoltre da dire, dovremmo occuparci di ben altro che della fine del mondo. Eppure…

Eppure non so voi, ma io affacciandomi a questo nuovo anno e mandando in soffitta il decennio seguito all’11 settembre – fino ad allora sembrava che il terzo millennio ci avrebbe  catapultato nel futuro con un affettuoso abbraccio – mi sento rincuorato dalla paura dell’apocalisse. Sono fiducioso cominciando questo nuovo anno e pensando a questa improbabile fine della storia.

Se guardo a me, ho come una nuova molla nella vita di ogni giorno: quella che comunque si pone come una scadenza, diventa una spinta a provare, osare, andare fino in fondo… ci sono tante cose da fare se abbiamo davanti un termine ultimo entro cui fare tutto.

Ma non solo. A livello globale è così difficile, politicamente e culturalmente, ragionare sulla direzione verso cui sta andando il nostro “sviluppo”, l’economia, i rapporti tra i popoli e l’ambiente che ci circonda. È così difficile, nel mondo in cui anche il frigorifero ha un microprocessore e tutto va alla velocità delle dorsali ottiche, fermarsi anche solo per un attivo e chiedersi: in quale futuro stiamo entrando, come lo stiamo costruendo?

Così come a Roma lo scorso maggio, e così come successo numerose volte nella storia, l’annuncio della fine del mondo troverà milioni di persone pronte a dargli credito – e di fatto tutti, anche i più scettici, si troveranno un dubbio instillato nel cuore: non è vero ma…

E questo respiro globalmente sospeso in petto, l’attenzione vigile su quanto accadrà man mano che ci avvicineremo alla data fatidica, il sospiro certo dello scampato pericolo, potrebbero aiutarci ad aprire la testa come da troppo tempo non facciamo. Forse, potrebbero aiutarci a ripensare la nostra finitezza, a ragionare sull’invincibilità professata dalla nostra specie e in realtà figlia soltanto della nostra presunzione.

Tutte speranze vane queste per l’anno dei Maya? Può essere. Ma chiede il passeggere Giacomo Leopardi al venditore di Almanacchi: “Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?” . “Speriamo” risponde lui. Almeno oggi, almeno questo: possiamo sperare.

Buon anno a tutti.

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