Natale, tempo di letture. Tra i libri che mi sono capitati tra le mani, vi segnalo il secondo romanzo di Susanna Bissoli, Le parole che cambiano tutto, (Terre di Mezzo Editore, 2011, 12 euro, 128 pp). Parafrasando Caparezza, il secondo libro è sempre il più difficile nella carriera di uno scrittore, e Bissoli centra l’obiettivo dopo il suo acclamato Caterina sulla soglia (Terre di Mezzo Editore, 2009, 10 euro, 112 pp). L’autrice si inserisce di buon passo in quel filone della letteratura femminile italiana capace di raccontare emozioni complesse partendo da piccoli dettagli apparentemente insignificanti, e vengono alla mente romanzi come La guerra dei figli di Lidia Ravera, L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, e soprattutto la raccolta Le parole che non ti ho detto di Francesca Romana Capone.

Bissoli ci racconta la storia di Arianna, fuggita ad Atene per inseguire un amore e ritrovare se stessa, narrata nel momento in cui prende una decisione altrettanto difficile: tornare a casa – a Ronco, in Veneto – forse un po’ con la coda tra le gambe, perché quell’amore, quella molla interiore che l’aveva spinta ad attraversare il mare, si è esaurita:  “Come da Janis quella sera che salivamo verso Kolonnaki e io gli ho chiesto “Mi ami ancora?” E lui ha detto “No, penso di non amarti più”. E io mi sono fermata sugli scalini come spezzata in due, mi tenevo la pancia, mi mancava il respiro. Lui ha aspettato che riprendessi a camminare e poi siamo andati a quel cavolo di spettacolo e poi a prendere una birra con gli amici e poi per un po’ di mesi abbiamo fatto finta di niente. Finiscono così, le cose.” Finiscono così, le cose, ma lasciano le persone cambiate per sempre. Nel caso di Arianna non c’è solo il ricordo dal sapore di ferro dell’amore finito, ma anche una maternità di cui ancora nessuno sa, soprattutto in famiglia e nel suo paesino.

Eppure, tornata a casa, scoprirà che il mondo non gira attorno ai suoi problemi e che anzi non è affatto l’unica a custodire dei grandi segreti. Si comincia da suo padre Francesco, figura chiusa e taciturna, che trova in una lettera scritta da un figlio ormai grande ma mai conosciuto prima una risposta al senso di vuoto lasciato dalla morte della moglie. Poi c’è Denis, fratello gay in cerca di un suo spazio lontano dal padre. Ma soprattutto c’è da fare i conti con la formidabile assenza della mamma: “Spesso la sera mi addormentavo con il rumore della macchina da cucire e me la immaginavo di là, con una montagna di stoffe sul tavolo. Tante cuciture da accompagnare con il dito. Aveva intimità con i corpi, mia mamma. Pance, gobbe, incavi protuberanze. /Gliela allargo un pochettino qui… /Tutte quelle donne si fidavano di lei. Mia mamma si muoveva cauta e discreta nello spazio minato delle loro spavalderie, le ansie, i pudori, le rassegnazioni.” C’è molto altro di non detto e di non saputo nella famiglia di Arianna, e starà a lei scoprire a poco a poco una realtà forse scomoda, ma ricca di profumi, di azioni, di propositi, di ricordi, di lunghi viaggi in macchina costeggiando l’Adriatico. Le parole che cambiano tutto sono allora quelle mai dette prima, parole che mettono a nudo tutto ciò che è rimasto sotto silenzio, parole che dipingono il romanzo di una tensione leggera ma costante.

Qualche critico ha parlato di letteratura minimalista, ma siamo distanti da Bret Easton Ellis e Jay McInerney dal momento che Bissoli non si tira indietro quando c’è da far parlare emozioni profonde e scavare in psicologie inaspettatamente complesse. “Quando siamo risalite ha voluto che la prendessi in spalla. Il suo peso sulle mie spalle e le sue mani sporche di sabbia allacciate sotto il mio mento mi davano un piacere fisico. Abbandonarsi. Accogliere un peso. Mi viene in mente mio padre qualche giorno fa in mezzo ai ciliegi, quando mi ha teso la mano perchè lo tirassi su e io ho sentito tutto il suo peso per la prima volta nella mia vita. Forse più che con l’amore ha a che fare con la forza di gravità, ma non è quella che ci tiene attaccati al mondo?” Bissoli firma un acquerello narrativo che ha incontrato il favore della critica e del pubblico, almeno a guardare le decine di ottimi giudizi piovutile addosso sul sito Anobii.com, che in Italia è ormai diventato la cartina di tornasole del gradimento dei lettori.

Ultima annotazione: un elogio alla casa editrice Terre di Mezzo di Milano, non solo per la finezza della scelta dei suoi testi, affidati tra gli altri all’occhio di Davide Musso, ma anche per il prodotto editoriale definitivo: libri che odorano di buono, ben stampati, sostanzialmente privi di refusi, dalle copertine graficamente efficaci ed esteticamente belle.

Articolo Precedente

Non c’è pace per Eluana

next
Articolo Successivo

In morte di Bocca

next